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di  Massimo Reina

 

Vi ricordate quando l’Europa era la “culla della diplomazia”? Sì, proprio quell’entità che si vantava di risolvere conflitti con la forza della parola. Ebbene, oggi di diplomatico resta giusto il nome sulle targhe di qualche auto blu: la verità è che ci siamo trascinati in una guerra insensata contro la Russia (sì, era così complicato tentare di mediare prima?), ci siamo giocati la faccia, il portafoglio e, per completare il disastro, finiamo pure tagliati fuori da qualunque trattativa di pace.

La beffa per l’UE

E pensare che l’Unione europea, una volta, era considerata un progetto illuminato basato sulla solidarietà tra Stati: l’idea di impedire nuovi conflitti, non fomentarli. Nel giro di pochi anni – complici i cugini d’oltreoceano e il loro colorato ventaglio di lusinghe – siamo diventati il gruppetto di Paesi NATO pronti a firmare cambiali in bianco per i “big shots” americani. Armi all’Ucraina, sanzioni alla Russia, l’inno alla gioia alternato alle marce militari. Tanta retorica e zero senso pratico: non siamo neanche riusciti a presentarci con una proposta diplomatica decente, salvo qualche telefonata notturna e qualche tweet di circostanza.

Chi paga il conto? Noi, naturalmente. Perché, dopo averci messo la faccia, ci mettiamo anche il portafoglio: i prezzi di gas e petrolio sono già saliti alla stratosfera, e la futura “bolletta militare” si preannuncia bella salata. Certo, qualcuno ci racconta che è tutto sotto controllo, che stiamo difendendo valori altissimi e un bene superiore. Ci crediamo come quando la compagnia aerea ti promette il volo in orario e poi ti scarica in un aeroporto secondario alle 3 del mattino.

Però arriva il meglio. Ora che la guerra è di fatto persa (persa in tutti i sensi: dal punto di vista militare, perché ci sono voluti pochi mesi per far crollare l’illusione di un’Europa “potenza armata”; e da quello economico, perché mentre ci danniamo l’anima a ricomprarci il gas a peso d’oro, altri si fregano le mani), Trump e Putin pare abbiano trovato il modo di architettare la pace. In due, anzi in tre se ci mettiamo pure Xi Jinping, mentre noi restiamo a guardare, affacciati come bambini al di là di un vetro.

Dalla Casa Bianca ci hanno informato – con la solita grazia diplomatica – che “nessuna nazione europea al momento è coinvolta nei colloqui di pace”. Traduzione dal “politichese”: cari europei, grazie per i miliardi di euro spesi, ma vi lasciamo in sala d’attesa. Mica pensavate di partecipare al tavolo che conta. Nel frattempo, anche Mosca ha confermato di voler proseguire i colloqui con l’amico Trump, magari su un comodo divano saudita (c’è aria di vertici in Arabia Saudita), e di certo non hanno inviato inviti con cartoncino colorato alla UE.

E noi? Nulla, fermi, con in mano un pugno di sanzioni che hanno sortito l’effetto boomerang di farci aumentare l’inflazione. Che bel risultato, vero? Certo, i funzionari UE e vari leader si mettono le mani nei capelli protestando che “l’Europa non può essere tagliata fuori dal dialogo”. Ma i fatti sono lì, impietosi: negli ultimi tre anni, ci siamo resi ridicoli sventolando un’intransigenza armata e lasciando al palo l’idea di una vera iniziativa diplomatica. Ora, tocca mandar giù il rospo.

Quanto alla pace, la prospettiva di un vertice tra Cina, Russia e Stati Uniti, con annesso discorso sul disarmo, suona come un film già visto: i giganti che decidono come spartirsi il mondo e noi che facciamo da comparse. Certo, Trump rilascia dichiarazioni distensive, dice che vuole dimezzare la spesa militare (dopo aver abbracciato per anni la via del riarmo), e che s’impegnerà per tirare dentro Xi e Putin a un grande progetto di riduzione degli arsenali nucleari. La domanda, però, è una sola: c’è qualcuno in Europa che viene consultato, o almeno informato, prima di trovarsi nel bel mezzo di nuove decisioni che condizionano la vita di milioni di cittadini?

Resta il fatto che mentre i “grandi” si parlano (o fanno finta di farlo) in bucolici summit, noi continuiamo a pagare gas, petrolio e armamenti a suon di rialzi. Farsi trascinare in una guerra senza aver tentato a sufficienza la via della diplomazia è stato come tuffarsi in una piscina vuota: un bel tonfo e nessun risultato concreto, se non la certezza di averci sbattuto la testa. In questi casi, l’Europa si rivela per quel che è: un condominio litigioso che non sa difendere i propri interessi, figuriamoci discutere con “gli adulti” che decidono la geopolitica mondiale.

Il risultato è un triste paradosso: abbiamo perso la guerra, nel senso di credibilità e ritorno economico, e adesso perdiamo pure l’onore. Tagliati fuori dalle trattative, guardiamo Trump e Putin che discettano di futuri incontri in Arabia Saudita, mentre Xi Jingping viene invitato a giocare il ruolo del “terzo saggio” e noi restiamo appesi alle cronache dei briefing di Karoline Leavitt, che ci spiega, col sorriso, come siamo irrilevanti nella soluzione del conflitto.

Ecco come si ritrova l’UE, la stessa che diceva di voler garantire pace e stabilità: sprecando risorse preziose, perdendo competitività, e riducendosi a spettatore non pagante di un film in cui gli attori principali sono gli altri. Con buona pace delle chiacchiere sul “peso europeo” negli affari internazionali.

In fondo, possiamo dire che a Bruxelles (e in varie capitali NATO) abbiamo compiuto un capolavoro di ingenuità: pensavamo di poter dettare condizioni e mostrare i muscoli, ma di muscoli non ne avevamo a sufficienza neanche per una flessione. Ora, mentre si profilano nuovi assetti e inedite alleanze, la nostra storica capacità di mediare (quando l’avevamo) finisce nel dimenticatoio, insieme alle buone intenzioni di chi ci chiamava, con un filo di autoironia, “potenza civile”.

La lezione, per chi vuole impararla, è che la diplomazia non si improvvisa e la guerra, specie se non sei in grado di sostenerla, non è un buon affare. Nel frattempo, se veramente il conflitto si dovesse avviare verso la parola “fine” grazie a colloqui a cui non partecipiamo, potremmo almeno prenderci la briga di trarne un insegnamento: non basta agitare sanzioni e carri armati per guadagnarsi un posto tra i potenti. Bisognerebbe tornare a fare quello che l’UE sbandierava come suo tratto fondativo: la diplomazia. Meglio tardi che mai, sempre che qualcuno voglia ancora ascoltarci.

 

 

 

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Info Autore
Massimo Reina
Author: Massimo Reina
Biografia:
Giornalista, scrittore e Social Media Editor, è stata una delle firme storiche di Multiplayer.it, ma in vent’anni di attività ha anche diretto il settimanale Il Ponte e scritto per diversi siti, quotidiani e periodici di videogiochi, cinema, società, viaggi e politica. Tra questi Microsoft Italia Tecnologia, Game Arena, Spaziogames, PlayStation Magazine, Kijiji, Movieplayer.it, ANSA, Sportitalia, TuttoJuve e Il Fatto Quotidiano. Adesso che ha la barba più bianca, ascolta e racconta storie, qualche volta lo fa con le parole, altre volte con i video. Collabora con il quotidiano siriano Syria News e il sito BianconeraNews, scrive per alcune testate indipendenti come La Voce agli italiani, e fa parte, tra le altre cose, dell'International Federation of Journalist e di Giornalisti Senza Frontiere. Con quest’ultimo editor internazionale è spesso impegnato in scenari di guerra come inviato, ed ha curato negli ultimi 10 anni una serie di reportage sui conflitti in corso in Siria, Libia, Libano, Iraq e Gaza.
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