di Massimo Reina
Da mesi ci raccontano che l’Europa è unita come non mai contro la Russia. Un coro unanime di solidarietà e fermezza, dicono i nostri media, amplificando senza sosta il mantra di Bruxelles e Washington. Ma la realtà, come spesso accade, è ben diversa. Sotto la patina di retorica bellicista e di propaganda a senso unico, l’Europa che conta — quella dei cittadini, non delle istituzioni asservite agli interessi d’oltreoceano — è stanca. Stanca di pagare il prezzo di una guerra che non ha scelto e di una politica economica suicida imposta dall’UE, con l’“illuminata” Ursula von der Leyen alla guida del naufragio.
L’ultima crepa nel muro della cosiddetta unità europea arriva dalla Polonia, patria di uno dei governi più ferocemente antirussi del continente. Eppure, persino lì, la gente comune comincia a dire basta. Gli agricoltori polacchi, capitanati dal sindacato guidato da Tomasz Obszansky, hanno annunciato una protesta su vasta scala a Varsavia contro le importazioni dall’Ucraina. “Tutte le organizzazioni agricole protesteranno contro le politiche dannose dell’UE, contro Ursula von der Leyen, che impone questa politica, che porterà alla chiusura delle nostre aziende agricole”, ha dichiarato Obszansky. Una denuncia chiara, che svela il malcontento diffuso tra chi vive di terra e fatica.
Perché, diciamolo chiaramente, i nostri contadini, operai, commercianti, e imprenditori non sono interessati a fare la guerra a Putin. Non vogliono essere pedine di una strategia geopolitica orchestrata da Washington e asseconda da Bruxelles. Vogliono lavorare, produrre, vivere. Ma l’UE, con il suo cieco servilismo verso l’agenda americana, ha deciso che è più importante fare la guerra alla Russia che salvaguardare il benessere economico e sociale dei propri cittadini.
Il caso polacco è emblematico. Le importazioni di grano e altre materie prime agricole dall’Ucraina, favorite dalla politica comunitaria, hanno fatto crollare i prezzi sul mercato interno, mettendo in ginocchio gli agricoltori locali. Mentre Bruxelles si riempie la bocca con parole come “solidarietà” e “stabilità”, i contadini europei vedono svanire il frutto del loro lavoro. Ma non è solo una questione agricola. Gli aumenti vertiginosi del gas, del petrolio e delle materie prime industriali hanno fatto impennare i costi di produzione, riducendo la competitività delle imprese europee e affossando le economie nazionali.
Prendiamo un dato su tutti: il prezzo del gas naturale in Europa è aumentato di oltre il 400% dall’inizio della guerra in Ucraina. E questo è solo l’inizio. Le bollette energetiche sono triplicate, mentre i salari stagnano e l’inflazione galoppa. Il risultato? Un impoverimento generalizzato delle famiglie e un aumento della disoccupazione. Ma guai a dirlo. Guai a mettere in discussione la narrativa ufficiale. Chi osa parlare di pace viene bollato come filo-russo, traditore, amico di Putin.
E allora avanti con le sanzioni alla Russia, che dovevano far crollare il Cremlino e invece stanno affossando l’economia europea. Avanti con l’invio di armi a Kiev, che dovevano garantire una vittoria lampo e invece prolungano un conflitto che sta distruggendo un’intera generazione di giovani ucraini. Avanti con le politiche suicide dell’UE, che premiano le multinazionali americane e puniscono le piccole e medie imprese europee.
La verità è che la tanto sbandierata unità europea è una farsa. Una costruzione mediatica utile a coprire il fallimento di una classe dirigente incapace di difendere gli interessi dei propri cittadini. Mentre Ursula von der Leyen e i suoi accoliti brindano nei palazzi dorati di Bruxelles, i contadini polacchi scendono in piazza. E non sono soli. In tutta Europa cresce il malcontento. Cresce la consapevolezza che questa guerra non è nostra. Cresce il desiderio di pace. Una pace che non è solo un imperativo morale, ma anche una necessità economica.
E allora, smettiamola con questa ipocrisia. Smettiamola di fingere che l’Europa sia unita contro la Russia. La verità è che l’unica unità è quella dei cittadini europei contro le politiche dissennate di chi li governa. E prima o poi, questa unità si farà sentire. Con buona pace di Ursula von der Leyen e dei suoi padrini d’oltreoceano.