di Paolo Di Mizio
Cecilia Sala è chiaramente stata arrestata come ritorsione per l’arresto – illegale – dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, bloccato il 16 dicembre scorso su ordine della giustizia americana all’aeroporto di Malpensa. L’accusa, per lui, mossa da Washington, è di traffico d’armi. Ma è un’accusa farlocca senza alcuna base giuridica.
L'ingegnere lavora per lo Stato iraniano: se lo Stato iraniano vende armi a un paese terzo (poniamo la Russia o l’India), questo non è un reato di "traffico d'armi", è un libero commercio garantito dal WTO e dalle leggi internazionali, che piaccia o non piaccia all'America. Se vendere armi da uno Stato all'altro fosse un reato, allora ci dovrebbe essere un ordine di arresto per Biden e per tutti i presidenti americani, che sono i maggiori venditori di armi del mondo.
Aggiungo, per quelli che dicono che “l’Iran viola le sanzioni”: le sanzioni sono un atto politico, arbitrario, non giuridico, in altre parole non sono una legge. Anzi, per la giurisprudenza internazionale le sanzioni sono addirittura fuorilegge se attuate al di fuori di un mandato dell’ONU come avviene in questo caso. Quindi se non c’è una legge, non c'è alcun reato.
La verità è che gli americani vogliono interrogare, con le buone o con le cattive, l'ingegnere iraniano per conoscere i segreti dei droni iraniani, come li fabbricano, dove, se li vendono alla Russia, ecc. Questa è la vera ragione. L'arresto dell'ingegnere è un sequestro di persona, non un arresto: è un atto di pirateria di Stato.