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di  Massimo Reina

 

C’era una volta, in un tempo ormai lontano, una fiaba che raccontava di purezza, resilienza e la vittoria della bontà contro la malvagità. Questa fiaba, nota a tutti come Biancaneve, non aveva bisogno di prediche ideologiche, né di revisionismi culturali. Era una storia universale, capace di parlare a grandi e piccini, uomini e donne, senza bisogno di hashtag, schwa e presunti messaggi di “emancipazione” impacchettati dal marketing hollywoodiano.

Ma oggi, nel 2024, il mondo delle fiabe è diventato l’ennesimo campo di battaglia per l’ideologia woke, dove tutto, persino l’innocenza di Biancaneve, deve essere piegato ai dogmi del pensiero unico progressista. Il remake della Disney si presenta come un’operazione di "riscatto femminile". Biancaneve, che a dispetto del nome e della fiaba è di carnagione scura, non ha più bisogno del principe azzurro per risvegliarsi dalla sua morte metaforica: è una donna libera, indipendente, che non dipende da nessuno. Un manifesto di emancipazione, dicono i produttori. Ma chiunque abbia letto o visto la fiaba originale capisce che questa rivendicazione è tanto artificiosa quanto inutile, perché tradisce il significato intrinseco della storia. Biancaneve non è mai stata una donnetta fragile che aspettava un uomo per salvarla. Il suo viaggio era una metafora potente di resilienza e purezza in un mondo ostile.

 La fiaba originaria: un manifesto di resilienza (non di dipendenza)

La Biancaneve originale – quella dei Grimm, ma anche quella del classico Disney – non ruota attorno al principe. La sua forza narrativa sta altrove: nel coraggio della protagonista che sopravvive a una matrigna crudele, all’esilio nel bosco, alla tentazione della mela avvelenata. La sua morte temporanea è una potente metafora della bontà e della nobiltà d’animo che non possono essere sconfitte, neanche dalla malvagità più estrema. Il principe? Un elemento marginale, simbolo della rinascita e della speranza, ma certo non il fulcro della storia.

Eppure, nella furia woke di distruggere tutto ciò che sa di tradizione, anche questo è stato travisato. La nuova Biancaneve è un personaggio privo di profondità, una caricatura che grida la sua indipendenza a ogni scena, come se urlare fosse sinonimo di forza. Non è più la giovane resiliente che affronta le avversità con grazia e tenacia, ma un panegirico ambulante del progressismo di facciata. E ha un viso e uno sguardo da sociopatica.

Il remake woke: quando l’ideologia divora la narrazione

Il problema non è solo la reinterpretazione, ma il modo in cui viene fatta. Questo remake non è una rivisitazione rispettosa, ma una vera e propria opera di demolizione culturale. Perché cancellare il principe? Perché Biancaneve non può semplicemente esistere come simbolo universale senza dover incarnare il "potere delle donne libere"? Perché tutto deve essere politicizzato, persino una fiaba per bambini?

È la stessa operazione che la Disney ha compiuto con altre storie classiche, svuotandole del loro significato originario per riempirle di slogan che non parlano più al pubblico, ma a una nicchia di attivisti di Twitter. Il risultato? Film senz’anima, che sacrificano il romanticismo, la magia e l’universalità delle fiabe sull’altare dell’ideologia.

L’ideologia woke: un attacco alla bellezza e alla famiglia

Ciò che più colpisce in questa operazione è l’odio evidente per il romanticismo e la famiglia. La Biancaneve originale non era una fiaba sul matrimonio o sulla dipendenza da un uomo: era una celebrazione della bontà, della resilienza e della capacità di sopravvivere alle avversità. Ma il woke non tollera queste idee, perché si oppone a tutto ciò che rappresenta legami, tradizione e sogni semplici come il desiderio di amore.

Il romanticismo – quel desiderio adolescenziale di trovare il proprio principe o principessa – è ormai un nemico da combattere. Sostituirlo con una retorica sterile sull’autosufficienza non solo tradisce la fiaba, ma priva le nuove generazioni di quelle storie capaci di alimentare la speranza, l’immaginazione e l’empatia.

Il remake woke di Biancaneve è l’ennesima dimostrazione che Hollywood non capisce ciò che tocca. Non si tratta di modernizzare una fiaba, ma di distruggerne la magia e l’universalità per imporre un messaggio che nessuno ha chiesto. Le fiabe, quelle vere, non hanno bisogno di ideologia. Non devono emancipare o rivendicare: devono raccontare storie, trasmettere valori e insegnare lezioni senza bisogno di gridarle.

Biancaneve era perfetta così com’era. Una fiaba senza tempo, che non aveva bisogno di essere riscritta, solo raccontata.

 

 

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Info Autore
Massimo Reina
Author: Massimo Reina
Biografia:
Giornalista, scrittore e Social Media Editor, è stata una delle firme storiche di Multiplayer.it, ma in vent’anni di attività ha anche diretto il settimanale Il Ponte e scritto per diversi siti, quotidiani e periodici di videogiochi, cinema, società, viaggi e politica. Tra questi Microsoft Italia Tecnologia, Game Arena, Spaziogames, PlayStation Magazine, Kijiji, Movieplayer.it, ANSA, Sportitalia, TuttoJuve e Il Fatto Quotidiano. Adesso che ha la barba più bianca, ascolta e racconta storie, qualche volta lo fa con le parole, altre volte con i video. Collabora con il quotidiano siriano Syria News e il sito BianconeraNews, scrive per alcune testate indipendenti come La Voce agli italiani, e fa parte, tra le altre cose, dell'International Federation of Journalist e di Giornalisti Senza Frontiere. Con quest’ultimo editor internazionale è spesso impegnato in scenari di guerra come inviato, ed ha curato negli ultimi 10 anni una serie di reportage sui conflitti in corso in Siria, Libia, Libano, Iraq e Gaza.
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