di Massimo Reina
Ah, che bel déjà vu: basta cambiare le date e i nomi, e la storia si ripete con un copione di violenza, espropri, e sopraffazione. Nativi americani ieri, palestinesi oggi. L’America, nella sua veste di conquistatore, ha privato i popoli indigeni delle loro terre, sfrattandoli con la forza, spingendoli a sud o confinandoli nelle riserve - una triste ironia per un Paese che si autodefinisce campione della libertà. E chi si ricorda che, prima dell’arrivo dei coloni europei, c’erano circa 10 milioni di nativi negli Stati Uniti? Oggi sono ridotti a una popolazione frammentata, relegata a poche centinaia di migliaia di individui, dispersa in riserve che sembrano più prigioni a cielo aperto che luoghi di tutela culturale.
Palestinesi e Nativi Americani, massacrati e derubati
La storia, però, ha la tendenza a ripetersi—basta spostarsi dall’America alla Palestina. E al posto dei coloni europei, mettiamo gli israeliani: stessa logica, stessi metodi, stesso risultato. L'occupazione israeliana ha visto interi villaggi palestinesi rasi al suolo, terre confiscate, famiglie cacciate dalle loro case per far posto agli insediamenti. Insediamenti illegali, beninteso, anche secondo le risoluzioni ONU che Israele si diverte a ignorare. Oggi, milioni di palestinesi vivono sparsi tra la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e i campi profughi nei Paesi vicini, spesso in condizioni disumane e privi di qualsiasi diritto. E questi possono per assurdo ritenersi “fortunati” visto che decine di migliaia di loro connazionali sono stati massacrati in questi mesi dai soldati israeliani.
I nativi americani furono forzati a lasciare le loro terre con leggi come l’Indian Removal Act del 1830, che portò alla tristemente nota "Trail of Tears", una deportazione che causò migliaia di morti . La stessa brutalità la vediamo nei territori palestinesi: la Nakba del 1948, con oltre 700.000 palestinesi costretti a fuggire dalle loro case durante la creazione dello Stato di Israele f solo l’inizio: oggi l’invasione continua, militarmente e con le espropriazioni forzate: in Cisgiordania nelle ultime settimane tra operazioni militari e attacchi a civili, lo stato israeliano ha alimentato un altro fronte di espansione con 90 avamposti illegali, costruiti su terre palestinesi e finanziati dal governo.Questi avamposti occupano 165mila acri – una superficie pari a quella di Gerusalemme, Dimona, Be'er Sheva e Arad messe insieme.
La differenza? Oggi si chiama "piano di annessione", "operazione militare" o "necessità di sicurezza". I governi statunitensi, da Andrew Jackson a Joe Biden, hanno sempre avuto una mano leggera per sé stessi e i loro alleati, mentre predicano al resto del mondo l’importanza dei diritti umani. In fondo, per Washington, era giusto privare i nativi delle loro terre in nome della "destiny", proprio come Israele giustifica oggi l’espansione a spese dei palestinesi in nome della "sicurezza".
E i parallelismi non finiscono qui: gli USA, maestri di retorica, finanziatori delle armi che piovono su Gaza, sono gli stessi che celebrarono per decenni la loro epopea western mentre i popoli indigeni venivano decimati. L’idea di spostare o eliminare le popolazioni "problematiche" è la stessa. Solo che ieri erano riserve, oggi sono campi profughi a cielo aperto come quelli di Gaza. Ma la morale della storia resta sempre la stessa: gli ultimi, che lottano per la loro terra, sono dipinti come i cattivi.
E mentre la comunità internazionale si gira dall'altra parte, le vittime di queste storie, sia ieri che oggi, restano solo numeri e statistiche, sacrificati sull'altare di un progresso che sa di sopraffazione.