di Alessandro Porri / Seconda parte
LETTERATURA
Continuiamo il nostro “eccitante” viaggio alla ricerca dei punti di contatto tra droghe ed arte attraversando il mondo della letteratura.
Più o meno contemporaneo al movimento pittorico impressionista in Francia, Charles Baudelaire, con il suo pensiero e le sue opere, influenzò quelli che da lì a poco prenderanno il nome di poeti maledetti. La definizione di “poeti maledetti” trae origine dall’omonima opera del poeta francese Paul Marie Verlaine che insieme a Arthur Rimbaud, Stéphane Mallarmé e Tristan Corbiere fu il maggior esponente di questa corrente. Potremo racchiudere o sostituire la parola “Maledetti” con anticonformisti, ribelli, innovatori. C’era una vera e propria ricetta per poter entrare a pieno merito a far parte del gruppo dei maledetti:
• Ad una base di gravi frustrazioni affettive aggiungete difficoltà materiali a volontà.
• Appena l’insieme risulta omogeneo versate dosi generose di vita sessuale promiscua, denutrizione, alcolismo, stupefacenti, tabagismo.
• Lasciate cuocere a fuoco lento fino alla comparsa di malattie veneree varie, sofferenza fisica e disturbi della mente
• Ed in fine l’ingrediente segreto, la maledizione del poeta, infatti, avrete lo splendido risultato di essere maledetti tre volte, dalla società, da Dio e da voi stessi!
Charles Baudelaire scrisse nel 1860 il saggio “Paradisi artificiali” dove oltre a parlare del vino si dedica a descrivere gli effetti dell'hashish e dell'oppio. È in questa opera che ritroviamo l’ormai celebre frase “Chi beve solo acqua ha qualcosa da nascondere” È noto come molte altre delle opere del poeta francese e alcune delle poesie più belle siano state scritte sotto l'effetto degli oppiacei e dell'alcol. Affascinato e in qualche modo dedito alle droghe Baudelaire faceva parte, insieme a Rimbaud, Malarmé, Hugo, Dumas ed altri del cosiddetto “Club des Hashischins”.
Nel saggio Baudelaire passa da un iniziale elogio della droga vista quale strumento umano per soddisfare il "gusto dell'infinito" ad una irrimediabile condanna della stessa: l'Artista, che segue i Principi Superiori dell'Arte, non può che rifiutare la droga come mezzo di creatività.
Contemporaneo di Baudelaire un altro scrittore ha catturato per la sua particolare storia la mia attenzione e curiosità, Robert Louis Stevenson. Parliamo dell’autore conosciuto principalmente per due sue opere, “Dottor Jeckill e Mr. Hide” e “L’Isola del tesoro”. Ma come può essere possibile che dalla stessa penna siano uscite fuori due opere così distanti tra di loro?
Una praticamente un romanzo per ragazzi, l’altra il percorso senza protezioni dentro la follia umana. Cosa era accaduto nella mente di quell’uomo? Inizialmente si attribuì allo scrittore l’uso di cocaina e morfina che forse usò anche in altri frangenti ma almeno in questo caso la spiegazione era un’altra. Secondo recenti ricerche Stevenson avrebbe scritto Dottor Jeckill e Mr. Hide sotto l'effetto di derivati dell'ergot, un fungo delle segale e del frumento, allucinogeno e potenzialmente letale. L'ergotina veniva utilizzata per iniezione nell'Ottocento come rimedio contro la tubercolosi e lo scrittore era appunto colpito da tale patologia. Secondo due studiosi dell'università di Glasgrow, l'effetto su Stevenson fu quello di trasformarlo in una sorta di “doppio” del suo Mr.Hide. La moglie riferì in una preoccupata lettera dell'agosto del 1885, che il marito per giorni era rimasto come ipnotizzato a letto in posizione inginocchiata con la faccia sul cuscino. Due settimane dopo cominciò a scrivere il famoso racconto sulla duplicità della natura umana, il tutto di getto, in una sola settimana.
A cavallo tra il 1800 e 1900 uno scienziato e scrittore di numerosi trattati e saggi scientifici divenne famoso anche per l’uso di cocaina al punto da diventarne, ancora oggi, una sorta di icona del primo sperimentatore volontario di tale sostanza quasi ne avesse evidenziato un uso terapeutico, stiamo parlando di Sigmund Freud (1856 1939) Considerato il padre fondatore della psicoanalisi, Freud fu un assiduo consumatore di questa sostanza sostenendo come questa avesse degli effetti benefici contro la tristezza e la depressione. Tuttavia nel 1890 dovette interrompere l'uso di cocaina durante le sedute, dopo aver quasi ucciso uno dei suoi pazienti sotto l'effetto della droga. Così scrisse alla sua fidanzata:
“Se tutto va bene scriverò un saggio su questa sostanza, che mi aspetto avrà molto successo e troverà posto nelle terapie che oggi fanno uso di morfina. Ho anche altre speranze e progetti su questa cosa. Ne prendo piccolissime dosi per curare la depressione e le indigestioni”.
“Nella mia ultima depressione ho fatto uso di cocaina e una piccola dose mi ha portato alle stelle in modo fantastico. Sto ora raccogliendo del materiale per scrivere un canto di preghiera a questa magica sostanza”.
Sigmund Freud
Avvicinandoci sempre più ai nostri giorni merita un capitolo importante William Burrougs (1914 1997). È stato uno scrittore, saggista e pittore statunitense, vicino al movimento della BEAT GENERATION. Gli elementi centrali della cultura "Beat“ degli anni 50/60 sono il rifiuto di norme imposte, le innovazioni nello stile, la sperimentazione delle droghe, la sessualità alternativa, l'interesse per la religione orientale, un rifiuto del materialismo e rappresentazioni esplicite e crude della condizione umana.
Affiancano e fanno parte allo stesso tempo del movimento Beat tre movimenti culturali di quegli anni:
I movimenti culturali e studenteschi del 1968
L’opposizione al conflitto del Vietnam
Il movimento hippy
“La scimmia sulla schiena” (titolo originale Junkie) è un romanzo del 1953, forse il più potente e famoso di Burrougs. In questo scritto l’autore trasporta nelle pagine lo scottante tema dell'eroina e lo fa con sguardo lucido, estremamente scientifico e crudelmente personale. Definisce "scimmia", il bisogno di droga nel momento dell'astinenza, termine entrato prepotentemente nella gergalità del mondo delle dipendenze. Il suo è un resoconto preciso e lucido, attraverso uno stile pulito, senza fronzoli, diretto: il romanzo si pone come una visione nello stesso momento "ad personam" e sociologicamente di massa, uno sguardo crudele sull'America che stava iniziando a conoscere i movimenti artistici giovanili. In Italia è Eugenio Finardi con la sua “SCIMMIA” a riprendere questa definizione e a scrivere la più precisa canzone italiana sulle sensazioni e sulle conseguenze provocate dall’uso di eroina. (vedi terza parte).
Uno dei capolavori della letteratura internazionale che senza dubbio deve gran parte della sua stesura alle droghe è “La nausea” di Jean Paul Sartre. Il titolo già ci mette sulla buona strada, ci fa intuire cosa potrebbe essere accaduto e la sua lettura ci guida in una esperienza dello scrittore che potremo definire mistica. L’autore stesso parla senza problemi di alcune nuove e stupefacenti dimensioni trovate grazie ad un alcaloide psichedelico che si trova in una pianta del deserto messicano. Si tratta della mescalina di cui, il futuro vincitore del premio Nobel per la letteratura, fece grandissimo uso. Lo scrittore dichiarò di non riuscire a distinguere il mondo reale da quello letteralmente “costruito” dalle allucinazioni. Non contento, alcuni anni dopo, durante la stesura di altri libri, si affidò a strani mix di caffe e corydrane, un forte eccitante.
“Niente pareva reale; mi sentivo circondato da uno scenario di cartone che poteva essere smontato da un momento all'altro. “
Forse a molti era venuto qualche sospetto sull’uso di sostanze stupefacenti da parte di Stephen King visti alcuni passaggi inquietanti dei suoi libri che sembravano arrivare da una mente non proprio lucida, a rimuovere definitivamente ogni dubbio fu l’autore stesso che affermò che per scrivere Cujo e Misery bevve così tante birre e assunse talmente tanta cocaina da non ricordare quasi nulla della stesura di questi libri.
Persino Elsa Morante fece uso di mescalina, seppur sotto il controllo medico, come affermò lo stesso Alberto Moravia. La donna arrivò in seguito anche al consumo di LSD il cui nome si ritrova come una sorta di gioco di ringraziamento nelle iniziali dei titoli di alcuni suoi componimenti come:
La sera domenicale
La smania dello scandalo.
Edgar Allan Poe e l’alcool, Charles Dickens con l’oppio, Victor Hugo l’hashish etc. etc. Sono davvero tanti gli scrittori di ogni livello che hanno visto influenzata la loro mente ed i loro pensieri da sostanze che li hanno trasportati in un mondo diverso da quello “realmente reale”. Cosa avrebbero scritto, cosa avrebbero partorito le loro menti se fossero restate completamente lucide, purtroppo non lo sapremo mai a me piace pensare che avrebbero generato qualcosa di ancora più bello anche se però, se così fosse, avremo perso davvero tanto.