di Massimo Reina
La probabile futura recessione e la perdita della leadership mondiale hanno fanno impazzire i cowboys.
Secondo gli analisti di Hsbc, la recessione negli Stati Uniti arriverà nel secondo semestre del 2023, e nel 2024 in Europa. E questo nonostante le prospettive economiche a stelle e strisce sembrano positive per i prossimi mesi grazie ai consumi sostenuti e al mercato del lavoro solido. Tuttavia, molti osservatori finanziari ritengono che la situazione cambierà nel corso del 2023, con una possibile recessione causata da una contrazione nei consumi delle famiglie e negli investimenti fino a oggi corroborati dal risparmio accumulato durante la pandemia. Secondo gli esperti di intesa San Paolo, ad esempio, l'inflazione rappresenta una sfida importante, e la politica monetaria svolgerà un ruolo chiave nel determinare l'andamento futuro dell'economia. Una forte crisi economica può implicare purtroppo un incremento dei licenziamenti nelle aziende, con una crescita esponenziale dei disoccupati tali che alla lunga potrebbe portare a forti disagi sociali e a proteste di piazza.
Una situazione che potrebbe diventare ancora più drammatica nel momento in cui il Dollaro americano dovesse indebolirsi enormemente con l’affermarsi del BRICS e di altre monete e forme di scambio, anche digitali, e prenderanno forma e sostanza nuovi mercati come la Nuova Via della Seta, che dovrebbe vedere protagonisti Russia, India, Cina e i Paesi Mediorientali, e coinvolgere il continente africano e tute le nazioni sudamericane, con statunitensi e occidentali loro alleati fuori dai giochi. Per ovviare a questi scenari, gli Stati Uniti del governo Biden ha reagito come sempre, ovverosia con l’unico linguaggio conosciuto da quelle parti: guerra, bombe e ricatti. Così in questi ultimi anni abbiamo assistito allo sviluppo di un quadro che disegna chiaramente una politica estera votata all'acquisizione “forzata” di nuovi mercati dell'energia, anche a costo di alimentare conflitti e instabilità nel mondo.
Gli Stati Uniti hanno posto il petrolio, il gas e l'energia al centro della loro politica estera, e il Paese persegue i propri interessi, utilizzando tattiche mirate per destabilizzare le nazioni rivali e promuovere divisioni. Il caos viene visto come uno strumento di vantaggio in questa politica aggressiva. I fatti sono innegabili. Osservando attentamente e documentandosi, è evidente che gli USA stanno portando avanti in modo deciso la propria agenda economica contro i rivali, incluso alcuni ex "alleati" recenti, come il Qatar. Queste crescenti rivalità rappresentano pericoli reali e minacciano di scatenare conflitti ancora più distruttivi e guerre di più ampia portata.
Risulta chiaro che le azioni degli Stati Uniti nei confronti di Mosca siano state fino a ora operazioni volte a espandere il controllo della NATO fino ai confini della Russia e a danneggiarne i mercati, in particolare nel settore del gas naturale russo, anche se l’obiettivo è poi fallito e l’economia russa è florida. L'attacco al progetto del gasdotto North Stream 2, che avrebbe dovuto trasportare il gas russo in Germania, Austria e altre nazioni europee, ne è solo un esempio.
L'ostilità sempre più intensa verso la Russia, la demonizzazione rinnovata dell'Iran, l'isolamento strano e bizzarro del Qatar e l'aggressività crescente in numerose guerre di destabilizzazione nel Medio Oriente sembrano essere parte di un unico obiettivo: garantirsi nuovi mercati dell'energia. La presenza militare statunitense in zone calde come la Siria, l'Iraq e fino a poco tempo fa l'Afghanistan, potrebbe contribuire a instabilità delle fonti energetiche e dei flussi di idrocarburi. Come la continua vendita di vasti arsenali di armi militari potrebbe intensificare e perpetuare le incursioni saudite nello Yemen. Questo, secondo chi scrive, non servirà a nulla agli americani, ma in fondo per loro vale il detto che, se proprio si deve “perire”, allora “muoia Sansone con tutti i Filistei”.