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di Virginia Murru

Sembrerebbe che tutto sia stato scritto sull’argomento, che non esista più nulla da dire, a meno che non si voglia rischiare di finire in retorica.. Eppure è un tema dal quale non si può prescindere, è una quotidiana tragedia che ha implicanze sociali fortissime, e soprattutto, in termini statistici, nonostante qualche intervento giuridico volto ad inasprire le pene nei confronti dei responsabili, i casi di violenza aumentano di anno in anno.

Il fatto è che gli interventi diretti a perseguire i reati di violenza contro la donna non sono assolutamente degni dell’incidenza e gravità con cui si manifestano. Occorrono misure molto più dure, s tratta di vite umane che ogni giorno vengono barbaramente annientate, senza una ragione.

Sarà che la violenza sulle donne è materia rovente, magma che viene senza sosta eruttato da uno dei vulcani più attivi e negativi della nostra società, sarà che siamo avvolti nella spirale di una realtà che ci attrae in un vortice senza scampo.

Sarà, ma non ci si può lasciare travolgere dai fatalismi, non si possono trovare ragioni sociali o antropologiche a simili calamità umane, tutto ciò che si dovrebbe avvertire è intolleranza, insofferenza, desiderio di affrontare emergenze così gravi che non possono assolutamente essere sottovalutate, semplicemente perché sono quotidiano oggetto di cronaca.

Proprio dagli estremi di questa violenza, che si trascina nel suo lungo iter storico tutti i paradossi e le contraddizioni del genere umano, è necessario trarre la forza per circoscrivere il fenomeno. Si potrebbe farlo rientrare, ma si deve andare oltre, nei limiti dell’imperfezione umana, della sua vulnerabilità verso gli errori più abietti, considerandolo alla stregua di un male endemico che può essere affrontato e reso meno aggressivo.

Secondo l’OMS, almeno una donna su cinque nel mondo ha subito violenza, non sempre denunciata pubblicamente.
I numeri sono impressionanti: in Italia ogni due giorni una donna muore a causa della violenza subita da un uomo, negli Stati Uniti ogni quindici secondi una donna viene aggredita, e le cose non vanno meglio nel resto del mondo, perfino nelle evolutissime democrazie scandinave, dove i dati restano allarmanti.

Non sono dati approssimativi, ma frutto di studi e statistiche dell’Università di Harvard. La caratteristica che rende il fenomeno ancora più inaccettabile, è che a perpetrare la violenza alle donne quasi sempre sono le persone a loro legate da vincoli affettivi, familiari soprattutto. Una vera e propria emergenza umanitaria, nonostante l’inasprimento delle leggi in tanti paesi, e gli interventi delle organizzazioni internazionali volte alla tutela dei diritti umani, in particolar Amnesty International, UDI, le numerose associazioni che offrono accoglienza e tutela alle vittime di questa violenza, definita ‘di genere’.

Oltre il 90% delle donne non denuncia la violenza subita, quasi sempre perché riguarda il coniuge, o comunque qualcuno al quale è strettamente legata, a volte perché sotto ricatto, o minacciata gravemente. 

Parliamo di violenza fisica, quella che non di rado finisce in dramma, ma esiste anche quella psicologica, quella che stringe in una morsa di abusi sottili, spesso difficili da dimostrare in sede processuale, ma non per questo meno insidiosa, proprio perché logora la mente della donna, limita la sua sfera d’azione e la sua attività, la squalifica e la porta ai margini, nelle periferie, dove non sempre la verità appare col dovuto rilievo.

Esiste anche una data sul calendario – il 25 novembre – dedicata dall’Assemblea mondiale delle Nazioni Unite, all’eliminazione della violenza contro la donna, ma né le pene inflitte ai responsabili, né la ‘macchia’ indelebile di questi reati infami, riduce la portata degli assalti, vili, insensati. Non esistono diritti umani che non siano stati violati: la donna, ancora oggi, all’ombra di un progresso che ha raggiunto vertici elevatissimi in ogni ambito, subisce di tutto e ancora di più.

Una donna muore sotto gli occhi attoniti di coloro sapevano e magari tacevano, una vittima in più, una vita persa, è una tragedia che in definitiva dovrebbe essere considerata immane, dato che si considera omicidio la dispersione di embrioni umani nei laboratori di ricerca.

E invece no, lo scempio continua.

Nonostante i mari d’inchiostro versati, l’isolamento sul piano morale e sociale di questi comportamenti deviati, la smania di colpire, di riversare il proprio malessere interiore su un soggetto vulnerabile sul piano fisico, non cessa, anzi, è in continuo aumento.

Riguarda tutti i ceti sociali, anche quelli più elevati, e non ci sono differenze di carattere culturale o sociale, non esistono ‘pregiudiziali’. Tale constatazione rende la realtà ancora più subdola, frutto di perversioni morali nella pura accezione del termine, per i quali non si trovano altre definizioni più appropriate.

La donna, più che mai, è diventata una sorta di discarica a cielo aperto, dove si riversano le scorie di un equilibrio sbagliato, i propri contrari, le instabilità e dissociazioni, ma quasi sempre nella piena consapevolezza dei propri atti.

Solo nel ’96 è stata approvata la legge che riconosce nella violenza sessuale un reato contro la persona, non contro la morale.. Tanto c’è voluto perché la donna fosse considerata un essere umano da tutelare, ma non stupiamoci più di tanto, la libertà di voto risale solo al 1946 per la donna, prima di allora non gli era riconosciuto il diritto di scelta nemmeno nel versante politico.

Se si quantificasse quello che la donna ha subito nella storia, e senza inoltrarsi nel profondo sud dei secoli passati, si concluderebbe che questa ‘Shoah’ al femminile non conosce limiti di tempo e spazio, attraversa confini territoriali e morali con inquietanti ambivalenze e similitudini, quasi fosse davvero un ciclone che si abbatte con forze implacabili sull’essere che più si dovrebbero proteggere e amare.

La donna: essere al quale è stata affidata la vita.

La discriminazione non è retaggio negativo del passato, è ancora l’arma silente celata nelle retrovie di una società maschilista, e non si può dimenticare che fino al 63’ si viveva in clima di ‘ius corregendi’, licenza di usare violenza contro la donna, qualora, a discutibile giudizio del marito, commettesse errori ritenuti suscettibili di punizioni fisiche.

Non è l’età della pietra, si tratta di pochi decenni fa. Del resto un altro ‘delitto’ considerato esecrabile, era l’adulterio, che condannava la donna alla detenzione, qualora si provassero gli estremi ‘del reato’, mentre l’uomo responsabile della medesima leggerezza, non si sfiorava nemmeno, e anche qui non siamo agli albori della storia, ma nel ’68.

Per non parlare dei delitti d’onore, vera vergogna nell’applicazione della legge, che favoriva ancora, fino al 1981, l’uomo che difendeva il suo onore uccidendo la moglie o la figlia qualora vi avessero attentato, con notevoli sconti di pena, mentre quando accadeva l’opposto, la donna veniva giudicata come un’omicida qualunque, anche se dietro quel gesto estremo c’era una lunga storia di violenza.

E dall’ergastolo non la salvava nessuno, ma a Beatrice Cenci, in tempi d’inquisizione Romana, andò anche peggio. Dopo gli abusi e le violenze continue perpetrate dal padre, che la teneva prigioniera insieme alla madre, decise che l’unico modo per porre fine a quella terribile schiavitù fosse liberarsi di un uomo che era un autentico mostro, ma pagò con il rogo quell’arbitrio. La bilancia della giustizia per la donna è sempre stata ‘truccata’.

Per quel che riguarda il delitto d’onore, una grande giornalista giordana, che scrive sul ‘Jordan Times’, Rana Husseini, ha davvero rivoltato le carte di questo stato vergognoso nel suo paese, portando alla luce, attraverso una sistematica pubblicazione di articoli sull’argomento, gli abissi di una cultura che ha da sempre schiavizzato la donna, lasciandola alla mercé di tristi consuetudini ancestrali. Una cultura violenta e prevaricatrice. Rana è stata insignita di tanti riconoscimenti a livello internazionale, per la sua implacabile denuncia verso questi abusi, e il ruolo di attivista nel campo dei diritti umani.

Il suo coraggio ha indotto anche il re e la regina di Giordania a intervenire direttamente in favore dei diritti delle donne, abrogando leggi che le discriminavano e le esponevano al rischio d’essere barbaramente assassinate per motivi d’onore, anche solo per un pettegolezzo.

Un Medio Evo che ha allungato i tentacoli fino ai giorni nostri, e come sappiamo, non solo in Giordania. Resta da considerare che purtroppo nelle culture più chiuse, non raggiungibili da un miglioramento dei diritti umani, questi drammi non hanno fine.
Dopo l’istituzione della giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne, giornata certamente non sprecata, è cambiato qualcosa?

Purtroppo le parole non bastano a fermare il ciclone. Ci vogliono misure più serrate, interventi più convinti e concreti, un monitoraggio più stretto, controlli e assistenza di primo piano nei confronti delle vittime.

Se si pensa poi alla violenza sessuale che la donna continua a subire, la cornice di questo squallido quadro si espande ancora a dismisura, diventando una realtà dai perimetri non definibili, un mostro con un cuore di pietra che ci gira intorno senza pace né tregua.

Se si pensa agli stupri perpetrati da tutti gli eserciti, e parliamo sempre dei giorni nostri, l’orrore assume davvero contorni da inferno. Si sono sempre distinti in particolare gli eserciti americani e i britannici nelle loro missioni di ‘peacekeepers’, ovunque siano stati hanno commesso questi crimini nei confronti delle donne, che già vivevano in condizioni di estremo disagio, per ragioni di sottosviluppo del paese di residenza, e per la guerra in atto.

Capire che cosa questo argomento rappresenti ancora oggi, per esempio nei paesi africani coinvolti in conflitti sanguinosi, significa davvero sfiorare un baratro di violenza del quale non si conosce il fondo.

Si legge in un articolo sull’argomento di Antonella Randazzo, che riporta una dichiarazione rilasciata dell’organizzazione Medici senza frontiere, operante in Congo, a proposito degli abusi e stupri compiuti sulla donna in quel paese:

“Lo stupro è usato come mezzo per terrorizzare la popolazione, e il numero di casi aumenta con ogni nuovo scoppio di combattimenti e attacchi. Se le giovani sotto i 18 anni sono particolarmente esposte (quasi il 40% dei casi), il gruppo più colpito è quello delle donne tra i 19 e i 45 anni (53,6%). Queste sono le donne che lavorano nei campi per potere mantenere le loro famiglie. Gli atti di aggressione contro di loro hanno luogo principalmente in campi isolati ma anche lungo le strade percorse per arrivarvi. Di conseguenza, le donne limitano i loro spostamenti e nei centri nutrizionali nella missione di Kayna le madri preferiscono alloggiare nelle immediate vicinanze invece di tornare ogni settimana per prendere le razioni per i loro bambini”.

La donna è considerata possesso, qualcosa che appartiene all’uomo, e la dimostrazione di questa sudditanza psicologica e morale, emerge ogni volta che un uomo compie atti di abuso e sopraffazione nei suoi confronti, ma soprattutto quando, trovandosi solo, quasi sempre per ragioni di abuso nei riguardi della partner, arriva ad ucciderla senza il minimo scrupolo: egli si considera l’indiscutibile padrone di quella ‘proprietà’.

Sono fatti, non parole. E siamo ancora qui a parlarne, purtroppo. 

 

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