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di Virginia Murru

Sembrerebbe un effetto collaterale della pandemia, dato che le impennate dell’inflazione si sono fatte sentire negli ultimi due anni, in particolare dal 2020 in poi.

E non dovrebbe neppure stupire, dato che lo stato di emergenza sanitaria ha messo in atto forti cortocircuiti anche sul versante economico a livello globale, mettendo in rilievo stravolgimenti in ogni settore.

Secondo i dati diffusi oggi dall’Istat, nel mese di dicembre 2021, il NIC, ossia l’Indice nazionale dei prezzi al consumo, al lordo dei tabacchi, ha fatto registrare un aumento pari allo 0,4% su base mensile, e del 3,9% su quello tendenziale. A novembre si era a +3,7%.

Se si considera la media dei prezzi al consumo nell’anno appena trascorso, la crescita è pari a +1,9%, nel 2020 era -0,2%. I prezzi al consumo crescono dello 0,8%, al netto degli alimentari freschi (inflazione di fondo).

L’Istat fa notare che l’ulteriore spinta dell’inflazione su base tendenziale proviene soprattutto dai prezzi dei beni alimentari, sia lavorati che non lavorati. Dai prezzi di beni durevoli, servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona. Rallentano i prezzi degli energetici, nonostante la crescita resti alquanto sostenuta, passando da +30,7% a +29,1%, per via della componente non regolamentata, fa notare l’Istat. Mentre quella regolamentata resta stabile.

 

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