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di Virginia Murru 

Per la Banca Centrale tedesca è stato più o meno come un fulmine a ciel sereno, di certo Weidmann, riservato qual è, ha comunicato le sue decisioni quando lo ha ritenuto opportuno, è nel suo stile. Si direbbe anzi piuttosto simile di temperamento alla ormai ex Cancelliera Angela Merkel.

Quei due convergevano su linee comuni allorché si trattava di difendere ad oltranza le proprie convinzioni. Ma nonostante cooperassero per ovvie ragioni, sia sul piano interno che in quello internazionale, adottavano strategie diverse.
E’ noto che Weidmann è stato il ‘delfino’ della Merkel, suo consigliere, quest’ultima l’aveva scelto fin da quando il Governatore della Bundesbank bruciava le tappe di una carriera fulminante nell’ambito della finanza internazionale, con incarichi prestigiosissimi, uno più importante dell’altro.
Restava la carica più ambita, per un uomo che ha ricoperto tutti i ruoli che contano, sia in Germania che nell’Ue: quella di presidente della Banca Centrale Europea. Era in corsa, il favorito, nel 2019 sembrava che alla fine del mandato di Mario Draghi, quella poltrona avesse il suo nome impresso. E tuttavia in quell’occasione la fortuna non lo ha assistito, comportandosi come un capobranco che sbrana il lieto fine. Weidmann era avvezzo a saltare gli ostacoli e ad arrivare primo al traguardo.
La francese Christine Lagarde, già presidente del FMI (ruolo che lasciò prima della scadenza del mandato), ebbe la meglio. Non immaginava forse Weidmann, che nel processo di designazione dei nuovi vertici delle Istituzioni Ue, il Consiglio Europeo facesse convergere il suo favore sulla candidata francese.
E’ probabile che la linea di rigore della sua politica monetaria, le aspre critiche sulle deliberazioni degli ultimi anni da parte di Draghi e del Consiglio Direttivo, non siano state le credenziali esatte dagli orientamenti del Consiglio Europeo, che puntava su un rappresentante alla più alta carica della Bce più moderato, incline a non tradire la politica monetaria espansiva portata avanti nel corso degli anni dall’ex presidente Draghi. Definito a livello internazionale ‘il salvatore dell’Euro’.
Ed è altrettanto probabile che Jens Weidmann non abbia metabolizzato la sua prima sconfitta, avvezzo al successo e vocato alla sfida qual è. Si tratta di ipotesi, e quand’anche questa prova avesse inciso sulle sue dimissioni, ha fatto parte delle vicissitudini personali, e nulla ha fatto trapelare al riguardo.
Si ipotizza e si azzarda sulle ragioni delle sue dimissioni, dato che le spiegazioni che ha fornito tramite una lettera indirizzata a tutto il personale della Bundesbank restano vaghe, e non tali da giustificare un passo di questa portata, proiettato nel futuro com'è sempre stato, guidato dall’ambizione e competenza acquisita in ambito finanziario.
Qualunque sia il motivo di questa scelta, la Bundesbank lo rimpiangerà, perché è in primis un grande economista, le cui concezioni sono state non di rado discutibili, ma ha espresso pareri da un pulpito di lusso della finanza internazionale, dove fin da ragazzo, neanche trentenne, aveva maturato le sue esperienze esprimendo performance da enfant prodige. E aveva solo 43 anni quando è stato eletto Presidente della Buba, ovvero Bundesbank.
Con Mario Draghi alla Bce è stato un lungo conflitto, mitigato solo dalle doti diplomatiche di entrambi, soprattutto grazie all’abilità e vocazione al disimpegno di Draghi. Perché Weidmann è stato davvero un falco, con vista acuta e artigli ben visibili, che non hanno mai risparmiato nessuno. Non concordava con la politica monetaria accomodante di Draghi e non ha mai risparmiato le sue frecciate. Non a caso, l’ex presidente della Bce, lo definiva ‘il signor no a tutto’.
Weidmann voleva una Bce indipendente dalle politiche di bilancio dei Paesi dell’Eurozona. Riteneva la politica dell'Ue troppo protettiva nei confronti dei Paesi del Sud, anche dannosa, soprattutto verso quelli non virtuosi con gli adempimenti concernenti il Patto di stabilità (ora finalmente sulla via della riforma), e non le mandava a dire. Si è opposto infatti ad interventi giuridici in ambito comunitario che insidiassero i Trattati, in particolare quello di Maastricht, con i suoi parametri. Mal sopportava la tendenza del Governo italiano a chiedere elasticità sul deficit, insisteva sulle riforme strutturali e riduzione del debito pubblico.
E’ sempre stato convinto che esistesse una linea di demarcazione virtuosa in termini di compliance alla normativa dell’Ue da parte dei Paesi del Nord, e che invece il Sud tendesse a svincolarsi dagli impegni. Su certi aspetti ovviamente aveva le sue ragioni, e si comportava da mastino per quel che riguarda gli interessi da difendere nelle sedi opportune delle Istituzioni Ue. E’ stato sempre incline alle misure di austerity, a evitare sostegni finanziari verso i Paesi con un elevato debito pubblico, e per rendere più efficace la fondatezza delle sue convinzioni sosteneva al riguardo che ‘era un po’ come somministrare droghe ai tossicodipendenti..’ Più eloquente di così..
La severità della pandemia ha creato sconvolgimenti e destabilizzazione, trattandosi di un fenomeno di carattere globale non potevano che instaurarsi processi anomali, e non solo nei Paesi ad economia di mercato, ossia in Occidente, ma ancora di più nelle cosiddette economie emergenti.
In questo climax alquanto condizionato dalle misure di carattere sanitario, sono emerse tendenze riconducibili all’emergenza in atto, non di rado opposte a quelle registrate in periodo pre-Covid. Per esempio l’inflazione, un dato macro che è stato per oltre dieci anni il sorvegliato speciale della Bce: regolarmente il Consiglio Direttivo puntualizzava l’esigenza di tenere stabile il dato relativo all’inflazione al 2% o dintorni. Nel secondo anno della pandemia il dato ha cominciato a schizzare, legato per ovvie ragioni alle dinamiche dei prezzi, nello specifico ad un aumento costante, in particolare negli Usa. Per oltre un anno l’aumento dell’inflazione negli States è stato infatti l’allarme che ha regolato la politica monetaria della Fed.
Ma l’inflazione è diventata ‘borderline’ anche per la ‘locomotiva’ dell’Ue, l’economia più forte in Europa, ossia la Germania, e dopo un aumento di ben 3 punti percentuali, anche alla Bundesbank è arrivato qualche grattacapo in più. Per questo Jens Weidmann, a margine di meeting internazionali, sottolineava il pericolo inflazione nel suo Paese, che prima o poi sarebbe andato oltre confine, soprattutto in area euro.
Weidmann si è detto ultimamente preoccupato dal fenomeno, insieme all’esigenza di applicare quanto prima le norme comunitarie sulla transizione ecologica, con un argine rigoroso sulle emissioni, le cui conseguenze creano danni non di poco conto all’economia e al mondo produttivo in generale, non solo agli ecosistemi del pianeta sul piano fisico.
In più occasioni ha anche chiesto maggiore sovranità per le istituzioni Ue, fino a spingersi, nel 2017, a proporre un Ministero del Tesoro a Bruxelles, il che significava già fare il primo passo per l’unione politica, non solo economica e finanziaria.
Ha avuto idee brillanti, maturate in un substrato internazionale che gli hanno permettesso un osservatorio d’eccezione, per questo c’è da chiedersi se, su diversi aspetti del suo modo d’intendere la politica monetaria, sia stato poco ascoltato.
Mancherà certamente una figura così autorevole nel Consiglio Direttivo della Bce, e sono ormai in tanti a nutrire dubbi e timori per la tenuta degli equilibri interni di questa importante Istituzione dell’area euro.
Mancherà soprattutto alla Bundesbank, così come mancherà Angela Merkel negli scenari della politica tedesca ed europea, dato che anche questa grande statista svolgeva un ruolo di moderazione in tutti gli incontri di vertice a livello mondiale, e si rimpiange già il peso e l’influenza in termini positivi che ha sempre rappresentato.
Sarà certamente un caso se questi due grandi esponenti della politica e finanza tedeschi, hanno deciso di lasciare i loro impegni, per ragioni diverse, proprio entro la fine dell’anno in corso. Hanno percorso strade diverse ma parallele, perché tra loro oltre che collaborazione e sinergia, c’è sempre stata una grande intesa, ora sarà il vuoto che lasceranno a parlare silenziosamente di loro, della loro serietà, moderazione e competenza.
Le dimissioni di Weidmann, il cui annuncio, evidentemente non casuale, è arrivato subito dopo la conclusione della consultazione elettorale in Germania, il cui risultato ha espresso nuovi equilibri politici al Bundestag, con altri orientamenti, e soprattutto l’uscita di scena della Merkel, lascia una serie di interrogativi per i prossimi anni.
Forse non si conosceranno mai i reali motivi delle dimissioni del ‘falco’ della Bundesbank, ma sono in tanti a concordare sul fatto che diversi sono i binari che non hanno seguito gli intenti e le direttive del policymaker del Consiglio Direttivo della Bce.
Mancherà nello scenario economico e finanziario la sua autorevole presenza, lo ha sottolineato anche la presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, la quale, all’indomani dell’annuncio, ha pubblicato un tweet piuttosto eloquente:
“I respect Jens Weidmann’s decision to step down as President of Deutsche Bundesbank, at the end of this year, after more than 10 years of service, but I also immensly regret it.”
(Rispetto la decisione di Jens Weidmann di dimettersi dal ruolo di Presidente della Bundesbank, alla fine di quest’anno, dopo più di 10 anni di servizio, ma sono anche immensamente dispiaciuta.) O preoccupata? 

 

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