L'accettazione dell'altro a mio avviso può derivare solo dalla conoscenza di sé.
Riconoscersi paure, difetti ma anche pregi e desideri infatti crea quel confine tra noi e l'altro in cui la distanza rappresenta la vita. La vita fatta di emozioni che sono personali ma anche universali.
Il linguaggio della poesia rappresenta la voce della nostra stessa esistenza.
L'immagine idealizzata che abbiamo di noi stessi difficilmente coincide con noi ed allora una tendenza ad essere come si desidera può portarci a credere che non andiamo bene cosi come siamo, per usare le parole dell'inventore dell'analisi transazionale Eric Berne, a credere di "non essere ok" , svalutando le proprie risorse solamente perchè si da valore solo a ciò che non si ha.
Lascio al lettore immaginare le conseguenze psicologiche e sociali per una persona che vede la vita da una posizione in cui se stessa è meno di qualcuno e non è come si vorrebbe. Oppure pensate a quelle circostanze in cui lo scoprirsi socialmente accettati tende a far svalutare gli altri. Basta riflettere sulle situazioni in cui gli altri vengono emarginati, disprezzati e svalutati. Qui Berne direbbe che ci si considera "ok" ma si vede l'altro come "non ok". Riconoscersi certe "posizioni esistenziali" può senza dubbio aiutarci nel rapporto con noi stessi e con gli altri perché conoscersi è anche scoprirsi e rinnovarsi. La conoscenza allora deve diventare un percorso di esplorazione dettato da un innamoramento per noi stessi che non può non essere sorpresa e amore per l'essere umano. L'empatia deriva dal riconoscimento di quei luoghi emozionali che vive l'altro e in cui noi abbiamo già vissuto.
Accettarsi e accettare l'altro quindi non possono prescindere, a mio avviso, dal conoscere se stessi.