Conosco Pasquale Viscuso, recente vincitore nella sezione Narrativa del Premio Letterario Nazionale Persephone, da sempre. Amico sincero e leale con lui ho trascorso i momenti più belli e spensierati della mia vita e quando mi ha comunicato che avrebbe partecipato al concorso che gli avevo caldamente consigliato mi ha reso davvero felice. Ero convinto che il suo libro “Oltre il mare di Sciacca”, pubblicato circa tre anni fa, avrebbe colpito la giuria sia per il tema originale e delicato trattato che per il linguaggio vivido ed efficace da lui usato. Un piccolo gioiello nel quale la memoria rappresenta il cammeo più prezioso, incastonato come uno scoglio, nel limpido mare siciliano.
Pasquale vuoi gentilmente presentarti e riassumere la trama di questo tuo lavoro?
Certo, ho 59 anni e vivo a Treviso con mia moglie Maria Grazia, abbiamo tre figli, da tempo indipendenti, e due nipoti. Sono un imprenditore nel settore assicurativo con la passione della fotografia paesaggistica e naturalistica, un hobby che coltivo ormai da molto tempo. Questo mio romanzo è caratterizzato da un sottile intreccio di due storie di cui una declinata al passato. Si racconta dello speciale rapporto di complicità e amore che esiste tra un giovanissimo ragazzo di Roma e suo nonno che vive in Sicilia, precisamente a Sciacca. Così, come puntualmente accade da anni, Giuseppe, il ragazzo protagonista della storia, trascorre le sue vacanze estiva in compagnia del nonno. La sera è il momento in cui i due, sulla terrazza vista mare, vivono il momento della memoria. Il nonno racconta la storia, che comincia nel 1940, dei 13.000 bambini italiani residenti in Libia i quali, pensando di fare una vacanza presso le colonie fasciste e senza i propri genitori, rimangono bloccati per sette anni in Italia. Questo accadde a causa dello scompiglio generato dalla guerra, infatti questi bambini, che ricordo avevano un’età compresa fra i 5 e i 14 anni, vennero sottoposti a dura disciplina e addestramento in pieno stile militare che non escludevano punizioni anche fisiche. Al termine della guerra i ragazzi tornarono dai propri genitori, la maggior parte di loro accusò gravi traumi psicologici mentre altri non tornarono proprio, si pensa che questi siano circa 3.500.
Cosa ti ha spinto a scrivere questo interessante romanzo e quanto troviamo di te e della tua famiglia?
Sono venuto a conoscenza di questa storia molti anni fa, ero ancora un ragazzo delle scuole medie, perché raccontata da due sfortunati protagonisti di questa vicenda che mi ha colpito molto. Ho notato che nel corso degli anni non mi è mai capitato di leggere articoli o libri in proposito, nelle trasmissioni televisive ho trovato il medesimo silenzio. Quindi, una decina di anni fa, ho deciso che avrei dovuto scrivere io qualcosa. Sono stato lungamente indeciso su come impostare il racconto fino a quando, durante una vacanza a Sciacca, mi è scoccata la scintilla nella testa. Ho sentito dire che se vuoi conoscere nell’intimo qualcuno bisogna leggere ciò che scrive. È proprio vero, c’è tantissimo di me nel romanzo. La figura che riveste il nonno di Giuseppe ricorda il bellissimo rapporto e il profondo rispetto che ho avuto io nei confronti del mio. Poi la passione per la fotografia e l’ammirazione del paesaggio sono una costante fra le pagine del romanzo. Infine, c’è la memoria, quella piacevole e quella triste. In ogni caso deve essere mantenuta viva, ci aiuta a diventare delle persone migliori, quindi non va mai abbandonata. Amo molto sollecitare la memoria “piacevole” perché mi conduce a quella che io chiamo la dolce malinconia, un misto di amarezza per il passato che non torna e il piacere di aver vissuto comunque momenti di felicità.
Secondo te perché la storia di questi tredicimila bambini non è ricordata come meriterebbe? Si parla spesso dei bambini-soldato dei paesi africani o quelli kamikaze del mondo islamico ma non si fa cenno di questi giovani pronti ad essere indottrinati e magari sacrificati in nome di un’ideologia?
Mi sono chiesto molte volte perché, quale fosse la ragione per la quale una storia così non sia stata divulgata e non credo di avere ancora una risposta certa, quindi posso solo immaginare. Il nostro presidente Draghi, in occasione del 25 aprile, ha detto che non tutti gli italiani furono brava gente, per cui ritengo che molte delle cose non dette, riferite al passato, siano riconducibili al fatto che ci si è vergognati di noi stessi. Probabilmente si è voluto far dimenticare la vergogna italiana in Africa in generale compreso l’episodio che racconto nel romanzo. Il successivo boom economico degli anni 60 ha, da una parte, contribuito a proiettarci velocemente verso il futuro, dall’altra ha accelerato il processo dell’oblio della storia. Ma ripeto, non ritengo di essere in possesso della verità, questa rimane una mia personale supposizione.
Tu hai anche la passione della fotografia naturalistica, quali immagini di Sciacca hai voluto descrivere nel libro e quale valenza hanno nel contesto? Sono solo lo sfondo naturale delle vicende dei protagonisti o la natura, ed il mare, in particolare, assumono un ruolo attivo o quanto meno metaforico?
Senza la mia visita a Sciacca non ci sarebbe stato il romanzo. Come dicevo prima è stata la cornice perfetta e la scintilla giusta, in essa ho trovato il giusto intreccio tra passato e presente che volevo raccontare. Una sera, affacciato sulla terrazza della piazza principale di Sciacca, ho realizzato che la storia dei 13.000 bambini era partita oltre quell’orizzonte che avevo proprio di fronte a me, l’Africa italiana era proprio lì. Guardando il mare da quella terrazza la storia ha preso forma come in un film e tutto mi è diventato immediatamente più chiaro. Il presente invece racconta la vivacità del borgo siciliano, la buona cucina, i dolciumi e il suo paesaggio fatto di mare e monti. A questo poi si aggiungono le bellezze naturalistiche, il fenicottero in volo raffigurato nella copertina del libro è stato da me fotografato dalla spiaggia, penso che contribuisca a raccontare quanto ancora di selvaggio ci sia in quei luoghi. Come vedi si ritorna alla domanda precedente, nello scrivere un romanzo lo scrittore prima di tutto descrive se stesso e le proprie debolezze.
Quali sono state le reazioni del pubblico alle presentazioni del tuo libro? Hai notato interesse, stupore o disappunto nei confronti della vicenda narrata?
Nelle mie presentazioni temevo di non essere creduto per quanto fosse assurda questa storia. A supporto di ciò ho fatto proiettare in sala dei vecchi filmati di propaganda fascista dell’Istituto Luce nei quali si vedono questi bambini delle colonie durante le loro attività mentre eseguono marce militari, salutano la statua del duce ogni volta che la incrociano, fanno l’alzabandiera e l’ammainabandiera e altre attività ancora. Addirittura, in una parte del filmato si vede anche una nave carica di questi bambini festanti, illusi di andare in vacanza, in procinto di salpare da Tripoli. Ovviamente si tratta di materiale di propaganda e quindi mostra solo il lato per così dire piacevole della storia. Al termine della presentazione mi piace interloquire col pubblico, fino ad ora non ho mai trovato qualcuno che conoscesse già la storia, il sentimento che ho visto prevalente è lo stupore.