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In un contesto televisivo e di comunicazione mediatica sempre più incentrato su veri e falsi VIP, sull'immaginario archetipico del successo capitalistico, sull'opinionismo tuttologo di alcune figure pubbliche che, inconsapevolmente, mettono in mostra alcune proprie possibili "patologie cliniche", in una pressante oscurità composta di retroscena morbosi su tristi e inquietanti fatti di cronaca che costellano lo scorrere della storia quotidiana di un Paese in seria difficoltà etica da molto prima delle difficoltà economiche e sociali generate dalla pandemia che attualmente continua a dilagare, in buona parte per l'errore umano, un raggio di sole squarcia da tempo le nuvole nere, regala un punto di vista nuovo, umile ma non per questo privo di autorevolezza, potere e capacità di innescare la speranza: è la voce gentile di Domenico Iannacone, classe 1962, cinquantanove anni domani. 

E forse proprio per augurare a questo meraviglioso giornalista un buon compleanno sento la necessità di scrivere queste mie parole di gratitudine.

La narrazione di Iannacone da molti anni, senza mai arrendersi, cerca di portare avanti con sempre maggior successo di pubblico, per fortuna, i valori (laici nella forma e nel presupposto) dell'inclusione, del racconto dell'ultimo, della vita che si incontra e sboccia attraverso la realtà che è fatta di insuccessi, cadute, errori, sofferenza che non piega, perdita, caparbietà, determinazione ma soprattutto sincerità.

Nelle sue trasmissioni Iannacone narra la vittoriosa esistenza di chi non si arrende, non di chi vince: storie di vittime, di colpevoli che sono stati capaci di riscostruirsi, storie di matti sinceri, di artisti veri che vivono la propria arte come unica forma possibile di comunicazione e non come prodotto costruito a tavolino per aumentare gli incassi.

Le opere televisive di Iannacone - non si possono chiamare diversamente volendo essere onesti - sono opere di successo: un successo costruito nel tempo, senza mai arrendersi ai facili meccanismi del sensazionalismo, a volte con qualche umana caduta, certo, ma senza mai perdere di vista le parole chiave della sua narrazione, mai dichiarate e, pertanto, incommensurabilmente potenti: gentilezza, stupore e assenza di giudizio.

Non conosco la storia personale di Domenico e se pure la conoscessi non vorrei raccontarla perché ciò che incarnano i suoi sguardi attenti, la sua capacità di ascolto, la sincerità di restituzione di una verità umilmente enorme e autentica sono ciò che dovrebbero essere gli sguardi, le capacità, le sincerità di restituzione di ogni essere umano, indipendentemente dal percorso vissuto; sono ciò di cui ognuno di noi ha bisogno sia di ricevere sia di dare. 

E forse sta proprio lì la riuscita mediatica di questi "racconti deboli": nel generale sentimento di appartenenza a questa debolezza, nella consapevolezza che questa debolezza ci rende unici e uniti, nel sentire che ognuno ha il proprio disastro, il proprio sbaglio, la propria ultimità: persino i "supereroi".

Perché in fondo, in un angolo del nostro cuore e del nostro intelletto, adagiati sul cuscino del nostro inconscio, lo sappiamo tutti che a spezzare le catene sono proprio gli anelli deboli e che quindi è la debolezza a renderci liberi.

E questo Domenico Iannacone lo racconta benissimo, pertanto auguri: mille di questi giorni, mille di questi sguardi, mille di questo stupore. 

Grazie Domenico.

E chi non lo conosce ancora, si lasci abbracciare da quei racconti.

 

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