di Monica Isabella Bonaventura*
L’inconscio è quella parte ignota di noi stessi, addensato in tratti nel dimenticatoio obliato di una autoanalisi, frustrato e quasi dissacrato, ma sacro al cospetto di chi riesce ad emozionare e a far spiccare con la propria arte e con la propria introspezione di riempimento umano, la cura e l’immensità specchiata in una opera d’arte, rappresentazione di ribalta, di luce spirituale a concezione estrema di una rinascita e di purificazione pur restando oscura e chiusa nel primo impatto visivo.
L’artista Sara Medea rincorre, dissolve e disperde in ogni sua opera la parte che più simboleggia la sua amina, attraverso i fluttuanti corpi marini o devianti figure aliene, apparentemente imprecise, immaturi e incompleti nel vederli e nella percezione intricata, proprio come volessero trapelare un’immagine, una forma, una parvenza non diretta all’osservatore, pressoché confusa e ingarbugliata di poteri e occultismo, ma in eguale misura profonda di verità, arrivando ad ingrandire le forme, con i colori e con le sfumature usate, come vastità esemplare degli abissi che si celano nei dissipi dell’artista stessa.
L’abisso per la pittrice è come un’esperienza unica, emozionante, colma di quell’incognita che si nasconde dietro al noto che va a caratterizzare le forme incomplete e disomogenee delle sue figure smisurate e quasi imponenti, come venissero accolte in loro stesse da quelle ombre circuite e tondeggianti di un temperamento malinconico e appeso ai margini di una correlazione fra la mente eccezionale e la follia, l’emblematico e la razionalità, fuggendo ai cannoni estetici convenzionali e stabiliti progettualmente dall’artista stessa prima della stesura dei colori e delle forme studiate ancor prima meditate, una esagerata correlazione tra la psiche e la creatività.
Sara usa quasi esclusivamente il blu scuro come sfondo, usando poi molteplici gradazioni che vanno ad inglobare ermeticamente i suoi immaginari corpi “esistenziali”, donando a loro il privilegio di incalzare perfettamente il movimento leggero e sinuoso, di un corpo inerme, disarmato e indifeso, come accarezzassero le sommità della superficie marina e terrestre. L’attenzione e fantasia che ripone l’artista in ogni sua opera sembra essere ripetitiva e costante sia nelle forme che nelle tonalità che a volte variano dal viola al verde pur retando costantemente omogene nella interpretazione del primario scenario occluso e singolare.
L’artista sembra vagare a cercare nelle sue opere, un appiglio, una sicurezza e studio della gratificazione, un equilibrio e analisi che va a camminare sul filo dell’immaginario di quello che per lei è la perfezione. Le opere si uniscono tra di loro senza alcun problema quasi continuassero un filo logico, o comunque possono essere viste a mono dose in ogni loro angolazione perché interrotte ma no spezzate.
Un passato quello di Sara che viene dimenticato, che va a purificarsi nei suoi dipinti eseguiti spesso su tavole di legno, trappole costanti e ripetitive sia per i colori e per le forme che riconducono a suo malgrado, ad una chiara lettura che l’artista vuole far risaltare, la sua parte potente e simbolica di una grandezza emotiva, vero sblocco tra lucidità e raggiungimento dell’applauso per il proprio messaggio intrinseco da quello che può essere la tensione e l’energia espressiva.
Dissolvere disperdere alieno
*Maestra d’arte