di Lucia Zappalà
La Cerimonia di Premiazione di Istrana è stata un' opportunità di conoscenza, un grande profitto intellettuale, una vera apoteosi di cultura che ha lasciato il segno, e non è un'esagerazione a volerla definire così.
Esperienze che fanno bene al cuore e prima si fanno meglio è.
Nonostante la minuziosa cura dei singoli dettagli, non vi era niente di artefatto, nulla di troppo eccentrico, ma solo un' organizzazione equilibrata e subordinata alla cultura.
C'era un rilassante silenzio nel parco e un'espressione di curiosità si fermava sui volti dei premiati, giunti prima degli altri per la visita in Villa Lattes. Una costruzione settecentesca che prende il nome dal suo ultimo proprietario, l'avvocato Bruno Lattes.
Un tavolo pieno di libri di poesia al fresco dell'ombra degli alberi. Messi lì a disposizione di tutti, pronti a soddisfare il bisogno di lettura. La gente si fermava per qualche attimo senza alzare la testa, come se dovesse decidere un passo importante. Poi ne apriva uno piano piano; il momento di stupore quando si apre un libro per la prima volta.
Dopo aver scelto qualche volume, i premiati (un benefit a loro concesso) venivano invitati ad entrare nella dimora dei Lattes, dove avrebbero assistito ad una narrazione sulla Villa da parte del presidente della Pro Loco di Istrana. Si guardavano intorno, affascinati dalla bella atmosfera. Prendeva il sopravvento la bellezza e distratti da essa si sforzavano di prestare attenzione. Non c'era particolare nell' esposizione del sig. Amadio Favaro che potesse risultare insignificante e si potrebbe compilare un elenco delle peculiarità che si apprezzavano nei carillons. Si tratteneva il respiro con una grande voglia di toccarli, di sentire il suono di quei prodigi della tecnologia, testimoni di momenti singolari. Non ce n'era uno che non fosse in totale armonia con la bellezza e l'eleganza delle stanze. Passati in rassegna tutti i carillons, si era quasi sicuri di aver avuto a che fare con la magia dell'universo, dove il tempo sembra cancelli tutto il peggio e lasci solo il meglio. All' improvviso si aveva l'impressione di ritrovarsi in un'altra dimensione, in un' altra epoca. La magia di nome e di fatto dove si percepisce un insolito brusio alle orecchie e ci si sente strani, come avere le vertigini.
Ma il tempo a disposizione era finito e i premiati si spostavano verso il palco dove si sarebbe svolta la premiazione. Restavano fermi davanti alle sedute trattenendo la commozione; sembrava volessero avere il tempo di ammirare meglio il palco prima di sedersi e godersi un altro "spettacolo". Sul palco Paolo Ruffilli, giurato del premio, scrittore e poeta, leggeva con un tono controllato le motivazioni di ogni testo premiato colpendo gli uditori fin nel profondo dell'anima. E Katia Robazza dirigeva con grazia e professionalità la Cerimonia. Pervadeva la disinvoltura elegante dei suoi movimenti mantenendo sempre un'espressione serena e un tono gentile.
Le poesie interpretate da Gigi Mardegan (attore e regista de "il satiro teatro") riempivano il parco; ogni parola di ciò che leggeva attraversava il corpo, accelerando la frequenza respiratoria e con essa il battito cardiaco e solo le note del gruppo musicale della scuola media di Istrana interrompevano la concentrazione sui versi. Dopo un po' di tempo passato ad ascoltare, un cumulo di emozioni incorniciava il palco e il pubblico seduto dandogli un aspetto certamente incantato.
A concludere la serata, accompagnando gli ultimi raggi di sole di un giorno di giugno, dei tavoli, apparecchiati con cura. Essi offrivano un'ampia varietà di prelibatezze, un delizioso assortimento di stuzzichini e si confacevano perfettamente ad un sabato "di festa".
A fine cerimonia una cosa era chiarissima sbaragliando ogni granello di dubbio: gli organizzatori si erano fatti trovare preparati. Avevano studiato l'evento, allontanandosi dall'inutile e concentrandosi sul proficuo. Avevano fatto in modo che tutti i partecipanti avessero una bella esperienza quel giorno.
E le strette di mano e i larghi sorrisi prima di congedarsi non si riducevano alla formale cordialità che si destina ai saluti, mostravano invece un segno di apprezzamento e di elogio perché tutti ne uscivano più ricchi. Era soddisfazione allo stato puro.