Nei suoi brani declina le mille sfaccettature della vita
di Omar Falvo
Classe 2001, originaria di Rogliano, borgo nella valle del Savuto, in provincia di Cosenza, dal poliedrico talento, con la sua voce leggiadra ha conquistato i Social e non solo, parliamo di Angelica Perri. La giovanissima cantante, con le articolate melodie, frutto di un amore viscerale per la musica, per la chitarra e per il canto, declina le sue emozioni in versi e note, tratteggiando con raffinatezza i mille sentieri della vita. Il suo ultimo brano “Il nero addosso” racchiude proprio attimi di realtà della cantante: gli stati d’animo, i sacrifici, i cambiamenti, la speranza. Una melodia che trasporta, quasi come un veliero romano, dalla tempesta del mare al porto sicuro lo “spettatore”, un ciclone di entusiasmi in questo spartito innovativo di pura poesia. Le mille sfaccettature del brano convergono in uno scenari musicale degno di nota. Una partecipazione nel 2018 al concorso area Sanremo, il suo primo brano nel 2019, e ancora, corsi mirati nel mondo della musica, Angelica Perri, costruisce pietra dopo pietra, o meglio, nota dopo nota, la sua strada nel mondo magico della canzone italiana.
- Con "Il nero addosso" hai plasmato una melodia sorprendente, viene esaltata la raffinatezza e nelle strofe emerge la pura poesia, come nasce il brano?
"Il brano nasce nel 2021. Lo considero il mio anno di passaggio dall’adolescenza alla maturità, dai sogni alla realtà. Mi sono diplomata nel 2020 ma nel turbinio di eventi e calamità successe in quell’anno non avevo ancora avuto modo di affrontare determinate emozioni, situazioni, difficoltà con gli occhi di una donna. Lo studio, i cambiamenti, la pressione sul futuro, la consapevolezza tagliente di avere tutto nelle mie mani, la libertà di decidere da me e il non avere più un sentiero obbligatorio tracciato (nella formazione quanto nella vita), insieme ad alcuni problemi familiari post-covid, mi avevano caricata così tanto da sentire la necessità di iniziare a sciogliere tutti quei nodi.
La verità è che non sentivo niente… forse, vestita di una corazza di apatia, “il nero addosso” era il modo più semplice per passare nella tempesta.
La serenità mi mancava così tanto che, in uno dei tanti momenti in cui ho la fortuna di rimanere con me stessa ed i miei pensieri, sono stata invasa dall’ispirazione di questa musica e queste parole.
Succede sempre così, quando sento di avere dentro di me qualcosa da buttare giù, non posso oppormi, dunque, lascio che la mia anima artistica faccia il resto.
Mi sono vista vestita di nulla, interiormente e metaforicamente, gli unici accessori che indossavo erano emozioni negative (angoscia per bretelle, tormento per cappello…) e ho parlato a tu per tu con la serenità che cercavo disperatamente.
Ho sempre detto che la musica è il mio modo di pregare, aggiungo che, forse, questa volta, è stata anche la cura alle mie ferite.
Avevo toccato il fondo, il nero, ma sono risalita aggrappandomi a qualcuno, qualcosa, a me".
- Il tuo è un percorso in simbiosi con la musica sin da piccola, come nasce questa tua emozionante passione?
"Non ho memoria di quando io abbia iniziato a cantare (forse ero troppo piccola per ricordarlo) ma ricordo bene di aver iniziato, dal nulla, a studiare chitarra e mandolino a 7 anni. Non avendo musicisti in famiglia non so cosa della musica mi avesse attratto, ma, da buona testarda quale sono, ho voluto iniziare a tutti i costi. Alla soglia dei miei 23 anni ho capito che posso essere e sono tante cose, soprattutto vesto tanti volti di una stessa musica: sono nata con la musica tradizionale e ancora la amo, poi ho scoperto la classica e la studio, il canto che da sempre mi accompagna, e poi il cantautorato e quel lato creativo di me che ha la fortuna di poter mettere insieme tutte le sfumature di me stessa e della mia arte.
Ho iniziato a scrivere ufficiosamente a nove anni con una timida canzoncina che ancora ricordo, ma il mio primo vero brano nasce nel 2016 quando, finalmente, avevo trovato un ponte tra il mio amore per la musica e la mia famiglia, rinvenendo in soffitta delle cassette registrate da mia nonna nel secolo scorso: aveva una voce meravigliosa e ho subito percepito una connessione di anime, qualcosa che andasse al di la delle barriere spazio-temporali, è stato bellissimo".
- Con la tua chitarra disegni spartiti e "racconti" fiabeschi, qual è il trucco?
"Ho sempre amato scrivere, quando non scrivevo ancora in musica mi dilettavo a riempire pagine e pagine di pensieri e racconti… e quanti i romanzi iniziati e mai finiti! Presto ho capito che scrivere canzoni mi permetteva di esprimere meglio i miei pensieri così come appagava a pieno il mio animo.
Non penso esista un trucco se non quello di fidarsi di se stessi e lasciarsi andare: dico una cosa importante perché “il controllo” è un bel groviglio che mi porto dietro da sempre e che ritorna in molti miei brani; ma per la musica è diverso, mi concedo a lei e lascio che mi plasmi a suo piacimento. Alla fine è un dialogo introspettivo tra pensieri, immagini e suoni. Memorizzo spesso le situazioni e gli eventi dai dettagli, me li vado a cercare e li imprimo nella mente, spesso poi riemergono nei brani ed forse è anche per questo che alcune canzoni riescono a costruire ambientazioni descrittive e permettono viaggi emotivamente coinvolgenti".
- A chi dedichi il tuo nuovo brano?
“Jettate ccu mie ntra ssu mare, te vogliu bene, ccu tie c’a pozzu fare, guarda chi bellizza ntra ssu munnu, ce signu io e suu nu bruttu sonnu”… beh è evidente che oltre a me e alla mia serenità ci sia un terzo soggetto nel brano. È difficile identificarlo con certezza perché in questi anni è cambiato più volte e, come me, anche il brano e l’interpretazione che ne ho dato, sono cresciute. Innanzitutto “Il nero addosso” nasce in un momento di assenza emotiva da parte della mia famiglia dove sentivo di avere il peso dell’unione della casa sulle spalle e non sapevo a chi appoggiarmi. Ringrazio il mio fidanzato per avermi dato la mano e per essersi “buttato nel mare” con me, anche se non so nuotare. Più tardi ho personificato però questo personaggio anche in me stessa, poiché alcune situazioni vissute mi hanno insegnato che spesso, la luce in fondo al buio, alberga dentro di noi. A ogni modo penso di dedicare il brano a chiunque possa sentirlo proprio… a chiunque possa capire e a chiunque o qualsiasi cosa si voglia vedere in quel “Jettate ccu mie”.
- Una parola per descrivere la musica?
"Potrei cercare una parola originale ma credo che a primo impatto risponderei che per me la musica è “sopravvivenza”. Quando tutto sembra svanire, lei è sempre li, come un’ombra amica che abbraccia e riscalda. Anche dovesse venire meno il resto, mi serve la musica per sopravvivere… nei momenti di gioia e in quelli di dolore. Mi fa sentire libera, mi permette di essere chiunque io voglia essere e mi aiuta a capire me stessa più di qualunque altra cosa o persona".
- Come declini le tue emozioni in musica?
"Per quanto io sia empatica e sensibile non sempre capisco le emozioni che provo.
Quando sento quel magone nello stomaco che devo far uscire a tutti i costi so che potrebbero essere le parole che la mia mente manda fuori per mettere in ordine i pezzi di quello che sto provando, e questo mi consola.
E’ un processo che non so spiegare ma che semplicemente accade e confermo che funziona!
Ho fatto anche esperienza di un’analisi in terapia attraverso i miei testi e hanno detto di me molto più di quanto io riuscissi a fare verbalmente (probabilmente anche perché normalmente sono molto logorroica).
Inizialmente riuscivo a convertire in musica solo pensieri ed emozioni negative (dolori, traumi o tristezza)… adesso sono felice perché la mia musica si sta aprendo a tante altre meravigliose emozioni quali l’ironia, la gioia e forse anche la rabbia. Ritengo sia importante dare spazio a tutto ciò che si prova".