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di Franca Ferrami*

Sono in corso i negoziati per la riforma della Politica Agricola Comune.

L’obiettivo è raggiungere un accordo globale per l’adozione di tre nuovi regolamenti che definiscano la PAC per il periodo 2023-2027. La PAC, che complessivamente vale 348 miliardi di euro e per l’Italia prevede una dotazione complessiva di quasi 40 miliardi di euro (senza contare il co-finanziamento), rappresenta l’insieme delle regole che l’Unione Europea ha inteso darsi riconoscendo la centralità del comparto agricolo per uno sviluppo equo e stabile degli Stati membri, perseguendo gli obiettivi di incrementare la produttività, assicurare un tenore di vita equo ai lavatori del settore, stabilizzare i mercati, garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori.

Il mese di maggio ha visto l’incontro a Bruxelles fra i ministri dell’Agricoltura dell’UE per discutere del nuovo pacchetto di riforme, che risente di uno scenario totalmente cambiato: se la pandemia ha riportato il consumatore verso la centralità del settore primario consolidando le abitudini alimentari, l’insediamento di un nuovo Parlamento europeo ha modificato gli obiettivi, declinandoli verso una maggiore attenzione ai temi ambientali. Tre i principali punti di discussione - condizionalità sociale, destinazione dei pagamenti e architettura verde – ma, non essendo stato raggiunto un accordo definitivo, si è deciso di rinviare la discussione alla prossima riunione di giugno.

Il rinvio del negoziato per raggiungere un’intesa sulla nuova PAC (le cui nuove regole entreranno in vigore dal 1° gennaio 2023) desta preoccupazione in Confagricoltura.
Afferma Paola Granata, Presidente dell’Unione provinciale Agricoltori di Cosenza:

«Le nuove problematiche aperte dalla crisi del Covid-19 e la conseguente ridefinizione del quadro finanziario, dovrebbero rappresentar motivi più che giustificati per un ripensamento della proposta di riforma della PAC; quello che si prospetta invece penalizza fortemente le imprese agricole. I parametri che l’Europa ha inserito nel New Green Deal risultano particolarmente onerosi per le imprese. Condizionalità ambientale e condizionalità sociale rischiano di aggravare ulteriormente gli adempimenti che le imprese devono fronteggiare.

Non ci siamo mai sottratti alle nostre responsabilità ma bisogna constatare che tutti gli sforzi fatti in questo periodo tragico non sono stati ripagati. La politica agricola non va verso le imprese ma verso una deriva ambientalista che penalizzerà anche il consumatore.

Noi di Confagricoltura ci siamo posti il problema da tempo, che non riguarda solo il taglio dei fondi messi a disposizione dall’UE. Le restrizioni penalizzano solo l’Europa ma lasciano il campo aperto agli altri paesi extra-europei. Poiché l’Europa non è autosufficiente e in virtù del fatto che la popolazione mondiale è in costante aumento, e necessita pertanto di maggiori derrate alimentari, l’approvvigionamento passerà da altri paesi terzi che non hanno un sistema di controlli come il nostro e non devono sottostare ai vincoli imposti.

Ma non c’è da stare tranquilli neanche sul fronte interno. La ripartizione dei fondi per lo sviluppo rurale, per il prossimo biennio, rischia di ridurre il budget per la nostra regione di circa 22 milioni di euro.

La posta in gioco è alta. Nelle prossime settimane si deciderà il futuro delle nostre aziende. Confagricoltura non può restare a guardare».

*Ufficio Stampa Confagricoltura Cosenza

 

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