di Giovanni Macrì
Era la notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021, quando, Saman Abbas, una ragazza pakistana di soli diciotto anni, esce di casa nelle campagne di Novellara, paese della Bassa reggiana, accompagnata dalla madre per incontrare l’altro genitore che le avrebbe consegnato il passaporto.
Da quel momento di lei non si sa più nulla!
Viene così inghiottita dal buio della notte e delle... menzogne!
Già quel passaporto che le avrebbe consentito di sposare il suo Saquib, il ragazzo cui si era innamorata in Italia.
Ma lei da tempo era promessa sposa a un giovane in Pakistan, un ragazzo di nome Akhmal. La famiglia aveva già fissata la data delle nozze con costui.
Saman, contraria alle imposizioni genitoriali, fuggiva di casa trovando rifugio, per otto mesi, in una comunità protetta nel bolognese.
Poi, dopo l’andata a Roma a trovare Saquib, rientrava in casa per recuperare il prezioso documento e così poter coronare il sogno della sua vita.
Sogno che purtroppo verrà irrimediabilmente infranto trovando la morte per mano di coloro, i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, e lo zio Danish Hasnain, che avrebbero dovuto proteggerla... la sua famiglia.
È proprio il disonore che avrebbe portato in casa il rifiuto di questo “matrimonio organizzato” sarebbe stato troppo rilevante da subire per la famiglia.
La madre in un’intercettazione commentava, infatti: “Come faremo a dirlo in Pakistan? È un disonore per tutti noi!”.
Era il fidanzato, Saqib Ayub, con il quale la giovane aveva deciso di sposarsi, che, non riuscendo a potersi metter in contatto con l’amata, metteva in moto la macchina delle indagini.
Gli inquirenti, da subito, indirizzavano le loro indagini verso la famiglia della ragazza ipotizzando, dopo le rivelazioni dello stesso Saqib, che non si sarebbe trattato di un allontanamento volontario, ma di un presunto omicidio motivato a pieno titolo da un “delitto d’onore”.
Iniziavano quindi le ricerche nell’azienda agricola “Bartoli”, dove potrebbe essere stato nascosto il cadavere della 18enne e dove i genitori lavoravano. La stessa area in cui viveva con tutta la famiglia, prima di sparire nel nulla
Il suo corpo sarà ritrovato dopo lunghissime ricerche solo il 18 novembre 2022, a pochi metri dalla sua abitazione.
L’autopsia dirà che la ragazza è stata strangolata prima di essere sepolta in una buca precedentemente preparata.
Intanto il primo maggio 2021, il giorno dopo il delitto, i genitori, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, scappavano in Pakistan.
I primi a essere individuati erano gli altri tre parenti, fuggiti in Europa, tra Francia e Spagna. Il cugino Ikram Ijaz (fine maggio 2021 su un pullman francese), poi il 22 settembre, a Nord di Parigi, lo zio Danish Hasnain, e quindi, a febbraio 2022, a Barcellona, l’altro cugino, Nomanhulaq.
Ma dal Pakistan, a novembre di un anno fa, 10 mesi dopo l’arresto in Punjab, veniva concessa in maniera insperata (prima volta in assoluto) l’estradizione verso l’Italia di Shabbar, padre della ragazza, che consegnato ai carabinieri italiani, portato in Emilia era posto agli arresti in carcere a Modena. E proprio pochi giorni dopo lo zio, dal penitenziario di Reggio Emilia, decideva di farsi avanti per indicare dove era stato sepolto il corpo della nipote. La moglie Nazia Shaheen rimane, a tutt’oggi, l'unica latitante!
Il processo per sequestro volontario, omicidio volontario e soppressione di cadavere nei confronti dei cinque parenti della vittima si apriva il 10 febbraio 2023.
Al processo lo stesso fratello di Saman ribadiva perentoriamente le accuse contro i suoi stessi familiari: “Voglio dire tutta la verità, per dare giustizia a mia sorella!”.
Mentre il padre, in aula davanti ai giudici, si difendeva dichiarando: “I padri non uccidono i figli, neanche gli animali lo fanno!”.
Finalmente dalla Corte d’Assise di Reggio Emilia, dopo dieci mesi di processo e quattro ore di camera di consiglio, è arrivata la sentenza come fosse un regalo per Saman... avrebbe, infatti, compiuto il 18 dicembre ventun’anni: ergastolo per il padre Shabbar Abbas e la madre Nazia Shaheeni per omicidio aggravato dal legame familiare. Mentre 14 anni per lo zio Danish Hasnain, che pur essendo indicato dalla Procura come l’esecutore materiale del delitto in quanto, cadute le attenuanti dei motivi abietti e futili e della premeditazione, e collaboratore per il ritrovamento del cadavere, ha potuto usufruire dello sconto di un terzo della pena previsto dal rito abbreviato.
Infine... assoluzione per i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq.
Tutti gli imputati sono stati assolti dal sequestro di persona.
Risarcimenti sono stati riconosciuti ad associazioni islamiche e contro la violenza sulle donne e al Comune di Novellara.
La stessa sindaca di Novellara, la dott.ssa Elena Carletti, perplessa, dichiara: “Per tutti noi che abbiamo creduto in una rete familiare estesa che ha contribuito all’esecuzione e all’occultamento del corpo la sentenza è solo in parte quella che ci si poteva aspettare perché nulla la condanna a 14 anni dell'esecutore materiale” - seguitando - “Giustizia a metà, tutta la famiglia è complice!”.
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