di Massimo Reina
Ah, i bei tempi andati, quando il precariato era ancora sinonimo di disagio, sfruttamento e sogni spezzati. Oggi, grazie all’illuminata visione di certi media, scopriamo che, a pagare 1.400 euro al mese per un letto e un bagno in comune con altre 26 anime, si può vivere un’esperienza multiculturale unica. Questo ci racconta, con la solita enfasi da fiction americana, l'articolo di Repubblica, che si spinge a dipingere la vita dei giovani precari come una festa continua, dove ogni difficoltà viene archiviata sotto la voce "esperienza".
Perché si sa, niente è più "di tendenza" che condividere il bagno con un ragazzo della Lettonia e una ragazza di Bogotà, scoprendo magari nuove varianti di shampoo. Nella narrazione dorata di Repubblica, lo sfruttamento immobiliare diventa “un cocktail culturale” e il caro-affitti una meravigliosa “esperienza di vita”, come ci insegna Marco, 26 anni, che - poverino - si è quasi sentito in colpa per aver pensato, anche solo per un attimo, che 1.400 euro per una stanzetta fosse un po' eccessivo. Poi, però, ha capito che con la cucina condivisa e Netflix incluso, tutto ha un senso. E la sofferenza? Ma per carità, non roviniamo questa splendida immagine da Friends versione meneghina.
Siamo davvero arrivati al punto in cui pagare una fortuna per dormire in uno spazio minuscolo, condividere il frigorifero con perfetti sconosciuti e fare i turni per la doccia diventa un trend? Un articolo che sembra scritto più per vendere un servizio di co-housing che per raccontare la verità di una generazione costretta a sopravvivere tra contratti a termine e stipendi da fame, che si adatta come può alla gentrificazione di città come Milano, dove ormai abitare da soli è un lusso per pochi. Ma certo, ci pensa tale Emanuele Bressan, city manager di Cohabs, a rassicurarci: “Siamo in linea con i prezzi di Milano”. E certo, se si considera che ormai a Milano anche un monolocale costa quanto il PIL di un piccolo Stato caraibico.Ma la chicca la regala la frase “momenti utili per fare gruppo”: come se vivere insieme in un tugurio fosse un’opportunità di networking, una masterclass da non perdere. Chissà se nei corsi ci spiegano anche come affrontare il caro vita o come non farsi prendere dallo sconforto mentre si vede scomparire ogni possibilità di costruirsi una vita autonoma. Perché alla fine, nella narrazione tutta cuori e unicorni dei media, non c’è spazio per le notti insonni, i conti che non tornano e la sensazione di non riuscire mai a costruire niente di stabile. Mentre il giornalismo mainstream si diletta a vendere questi racconti confezionati come il nuovo trend del momento, fuori dalla bolla pubblicitaria ci sono giovani che ogni giorno devono fare i conti con la precarietà più spietata.
Magari non si rifugiano nella masterclass del pizzaiolo di turno, ma nella speranza di non dover vivere per sempre in questa perenne transizione, dove la prospettiva di una casa propria è diventata un sogno di quelli irrealizzabili, come comprarsi una Ferrari. Ma Repubblica ci rassicura: basta la condivisione, l’esperienza culturale e qualche brunch in compagnia per rendere tutto magico.
Benvenuti nel mondo incantato dei media radical chic, dove la sofferenza diventa un trend e la precarietà si traveste da esperienza indimenticabile. Ma non preoccupatevi, c’è Netflix incluso.