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di Lucia Zappalà

Dall'inizio della pandemia, nel triste cambiamento di questi ultimi due anni, abbiamo dovuto rispettare regole sempre più limitative, per il bene nostro e della comunità, trovandoci a volte dinnanzi a momenti complicati. Chiusi nelle nostre case abbiamo vissuto quasi solo di ricordi mentre fuori la vita trascorreva diversa, avvolta nel suo singolare silenzio.

Ci immaginavamo di essere in montagna, al mare dove tutto prima era attivo e dinamico, dove la spensieratezza e il ridere si sfrenavano in tutte le forme.

Fortunati quelli che hanno lavorato in smart working, passando tutta la giornata in camere che davano sul verde luminoso del giardino o sulle foglie verdi degli alberi, pronti a brillare sotto al sole.

Per correttezza, dobbiamo mettere in conto, però, anche la sofferenza di quelle persone abituate ad una vita lavorativa attiva fuori casa e costrette poi con il lockdown ad "oziare". Un ozio che si è tradotto in una forte irrequietezza, che non ha lasciato né spazio né tempo alla serenità per formarsi. 

Nel periodo del Covid tante persone hanno perso il lavoro. Qui vi voglio parlare di una donna, una professoressa che ha tre figlie e che, perso il lavoro, ha perso anche la speranza e la voglia di vivere. E insieme tanti pensieri tristi hanno alimentato, giorno dopo giorno, la sua delirante voglia di farla finita, puntando il dito della morte su sé stessa.

Così una mattina presto arriva fino al ponte tibetano di Perarolo di Cadore, in val Montina a trenta chilometri da Cortina; scavalca il corrimano ed è decisa a lanciarsi di sotto.

Resta aggrappata ad un cavo d'acciaio e penzola nel vuoto, a ottanta metri dal suolo, con lo sguardo affondato nell’abisso, finché viene notata da un escursionista che ha lanciato l'allarme al 112. Sul posto giunge una prima pattuglia formata da un graduato esperto e una giovane donna. È Martina Pigliapoco, ventiseienne, che è entrata da poco nell'arma dei carabinieri e che non si era mai trovata in una situazione di questo tipo. Si avvicina con prudenza e con grazia, e si mette seduta con le gambe distese e le mani bene in vista, affinché tutto il suo corpo sia in grado di comunicare all'altra donna FIDUCIA.

Inizia una conversazione che durerà quattro ore. Molte sono le parole di saggezza che riempiono le labbra di Martina e molte, molte quelle che celebrano la bontà, la gentilezza, la felicità.

E mentre il tempo scorre, su quel ponte "si sfidano" di ora in ora due donne con emozioni diverse, nate da condizioni psicologiche differenti. Da una parte quella di Martina che è felice, perché i suoi sogni si sono finalmente avverati: diventare carabiniere e sposare il ragazzo che ama, accettate le pene e tutti i sacrifici necessari che ne hanno permesso la realizzazione. Dall'altra parte quella della donna aspirante suicida, che invece ha visto i suoi sogni dileguarsi. E dolorosa e penosa è la sua progressiva convinzione (ma in modo quasi incosciente) di essere inadeguata, di non essere più abbastanza.

La depressione: c'è chi la chiama male dell'anima e chi mal di vivere. Io la definisco male del silenzio perché sembra che il suo percorso metta a tacere ogni rumore del mondo. Attraversa la mente. La intossica, la stordisce serpeggiando così silenziosamente che il resto del corpo non fa alcun movimento.

E forse perché è invisibile e silenziosa, provoca negli altri meno comprensione e compassione rispetto ai mali fisici. Ma chi ne è vittima, non riesce più a guardare la realtà per quella che è.

In quel momento sul ponte tibetano c'è bisogno di un medico. Uno che sappia curare l'anima e trovare gloriosamente le parole giuste come fossero medicine. Quelle parole che soccorrono e che salvano dalla disperazione o forse anche da qualcosa di peggio.

Martina introduce un discorso sulle figlie. Racconta che loro non l’avrebbero mai giudicata per la sua tristezza e che non si sarebbero mai indignate davanti ad una mamma imperfetta e che avrebbero preferito i suoi difetti alla sua assenza. Quanto avrebbe pesato su di loro la perdita della madre!

Queste le parole salvifiche della giovane carabiniera che, a poco a poco, con una melodia rassicurante più dolce dei suoi sorrisi, fa tornare a galla il vigore dell'amore materno nell’altra donna. Le anima di nuovo la vita, offrendole un nuovo orizzonte da osservare.

E così cessano poco per volta i brutti pensieri. E si corre verso il trionfo della vita, delle parole alla cui bellezza, a volte, è facile arrendersi.

 

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Info Autore
Lucia Zappalà
Author: Lucia Zappalà
Biografia:
Lucia Zappalà nasce nel 1971 in Sicilia. Inizia a scrivere poesie al Liceo Classico, scrittura che abbandona subito dopo la maturità. Dopo due decenni di “astinenza” si ridesta forte e imponente il bisogno di dedicarsi di nuovo alla scrittura, riscoprendo che la Poesia è ciò che dà un senso a tutto quando chiude gli occhi la sera. Riprende nell’estate del 2015 nascondendo dapprima questa passione, lasciandosi andare dopo alla condivisione dei suoi testi. Partecipa a concorsi nazionali, conseguendo svariati riconoscimenti. Sue poesie sono presenti in varie antologie di AA. VV. “Scriverai d’una luna nuova”, pubblicato con Akkuaria nel 2019, è il suo primo libro, che è già stato premiato in vari concorsi letterari. Dal 1997 vive a Istrana (TV) col marito e i due figli.
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