di Adelaide Baldi
Lina ci accoglie con un gran sorriso e ci mostra subito le sue “creature”. Modellare l’argilla per lei è una forma di espressione. Guardando le sue opere si percepisce tutto l’amore e la passione che ci mette quando crea.
Le sue creazioni sono ricche di dettagli, curate nei minimi particolari, dove nulla è lasciato al caso. Sono un insieme di creatività e tecnica che danno vita a incredibili “oggetti” pieni di sapere, cultura e tradizioni del Cilento. Con le statuine che realizza compone presepi e scene che ci riportano in un passato fatto di semplicità e autenticità. Sono statuine che sembrano vive: in ogni volto, modellato pazientemente, si può cogliere lo stato d’animo. Impossibile non rimanere incantati davanti all’arte di Lina. Non possiamo fermarci oltre ad ammirare le sue meraviglie perché non vogliamo “rubarle” altro tempo (sta lavorando per un’esposizione), ma prima di andare via le facciamo qualche domanda.
Abbiamo visto statuine, angeli e… Ci vuol dire cosa crea e come prendono forma le sue creazioni?
«Creo angeli, statuine di pastori, statuine che rappresentano i contadini del Cilento, cesti con vari tipi frutta, piante di fichi d’india, ecc.. Con le statuine che creo mi piace comporre presepi e le scene di un tempo: il parto in casa, l’antica fiera della Madonna del Carmine di Pioppi, la coppietta che si incontra alla fonte e tante altre. Per fare le statuine uso l’argilla bianca perché, secondo me, rende di più viva l’espressione dei volti. Questo è un lavoro che richiede tanto tempo e tanta pazienza. Dopo aver modellato i volti e i vari pezzi li metto a cuocere in un forno apposito, a 900/1000 gradi. Dopodiché assemblo i pezzi con la tecnica dei pastori del ‘700, con l’anima di filo di ferro in modo che risultino mobili. Poi dipingo le statuine con la tempera acrilica e infine le vesto».
Anche i vestiti li fai lei?
«Si, li cucio io. Cerco di ispirarmi ai vestiti della prima metà del ‘900. Quei tipici vestiti fatti dalle sartine di paese, non perfetti, non rifiniti con cura, alla buona. Alcuni li faccio anche un po’ logori e stinti. Se le stoffe sono troppo nuove cerco di invecchiarle in modo da ricreare l’atmosfera contadina».
Molto lavoro, ma anche tanta soddisfazione?
«Non si può quantificare il lavoro che si ci impiega per fare una statuina. Il più delle volte quando penso di aver finito mi accorgo che manca un dettaglio. È un lavoro lungo e molto impegnativo, però dà tantissima gratificazione quando viene apprezzato».
Una sua composizione è stata esposta al Vaticano e un’altra nella Basilica di San Giovanni Valdarno?
«Si sì. Al Vaticano è stato esposto un mio presepe nella sala Pio X. Per me questo è motivo di orgoglio e immensa soddisfazione. Ho avuta molta soddisfazione anche quando una critica d’arte mi ha dedicato tre pagine su una rivista toscana perché rimasta incantata dalla natività esposta nella Basilica di San Giovanni Valdarno».
Le sue opere sono molto richieste, cosa prova quando lascia andare una sua “creatura”?
«Mi affeziono ad ogni mio lavoro, ad ogni mia statuina. Non potrebbe essere altrimenti poiché le vedo “nascere” e “crescere”. Ognuna di loro è unica e irriproducibile. Quando ne comprano una è come se una parte di me andasse via. È triste!».
Ha partecipato a molte mostre e ha avuto molti riconoscimenti. Fra qualche giorno le sue opere saranno esposte nuovamente. L’emozione è sempre la stessa…?
«Si, provo ogni volta la stessa ed identica emozione. Nel 2012 ad Agropoli fui nominata donna dell’anno per questi miei lavori. Al solo ricordo mi emoziono ancora. Così come per tutti gli altri riconoscimenti. Ho partecipato a tante mostre nel nostro Cilento e anche in varie parti d’Italia: Roma, Arezzo,… Trasportare le statuine non è facile, sono molto delicate. Anche questo è faticoso,. Però, ripeto, quando il mio lavoro viene apprezzato dimentico tutta la fatica che ci sta dietro. Fra qualche giorno esporrò le mie opere all’Info Point Marina di Acciaroli. Rimarranno lì fino alla fine di agosto. Nel frattempo sto preparando una rappresentazione per Natale che sarà collocata in una location ricca di storia: il castello dei Principi Capano di Pollica. Al momento non voglio svelare di più per non rovinare la sorpresa. Vi anticipo solo che sarà un qualcosa di molto molto particolare».
Sarebbe bello se i giovani si avvicinassero a questa arte, ha mai pensato di fare dei corsi?
«No, non ci ho mai pensato e non avrei neanche il tempo…».
Secondo lei al giorno d’oggi si sta facendo qualcosa per preservare e tramandare le tradizioni artigianali?
«Oggi, fortunatamente, si sta riscoprendo il valore delle antiche tradizioni artigianali. Forse siamo ancora in tempo per preservarle e tramandarle. Chi si avvicina a questa arte deve tener ben presente che ci vuole tanto impegno e soprattutto tanta passione. La passione è la forza motrice per tutto».
A proposito.. non le abbiamo chiesto come e quando è nata questa sua passione. Le va di dircelo?
«Certo. Ad un certo punto della mia vita ho scoperto che manipolando l’argilla le cose mi riuscivano bene. Forse questa passione è scritta nel mio DNA, ereditata, sicuramente, da un mio zio francescano, Fra Umile, che scolpiva statue di Santi con una manualità stupefacente».
Sappiamo che ha un’altra grande passione: scrivere poesie in dialetto cilentano. Ce ne vuole declamare una prima di salutarci?
«Con piacere! Ma prima voglio precisare che scrivo poesie in dialetto cilentano per raccontare la vita di un tempo della nostra civiltà e allo stesso tempo far conoscere alle nuove generazioni una lingua che, purtroppo, sta perdendo la sua originalità.
Vi recito una una poesia a cui tengo tantissimo. Una poesia che parla di un legame passionale tra il contadino e la terra. Un legame che non esiste più».
POVERA AULIVA
Ncoppa no cuozzo ca uarda lo ponente,
n'auliva 'nc'é sturtiata ra lì vienti.
Si ppe cielo 'nce sò nuvole janche
re loceno le fronne com'argiento.
Quanno lo sole se ne cala a mari
ncoppa le ponte pare ca 'nc'é l'oro.
Ma pover'auliva abbandunata
sò anni ca nisciuno t'ha zappata.
Attuorno sò cresciute le rovete,
e sotta a ttì lo muro è scarrupato.
Te lo ricuordi quanno te chiantaro
int'a na matenata re frevaro?
Gioanni a na cannoccia t'alleao,
cco le mano la terra t'apparao.
Juoro piè ghiurno l'asti mmesurava,
a una a una le fronne contava.
Pare cc'avia trovato no trasoro
quanno jenchette lo primo panaro.
Ppe quaranta vernate te zappao
e tanta vote a marzo te putao
Ma pò na sera stanco se partette
e non tornao.Quanto l'aspettasti!
Sentisti sonà a muorto a lo Commente,
Gente saglia la via lo Camposanto
E sò passati cientoquarant'anni.
Che fin'ha fatto povero Gioanni?
Cennera e terra int'a la fossa scura,
e dda sto cuozzo tu l'aspietti ancora.
Quanno a levante sponta matutino
lo viri scenne ppe la via lli Chiani.
Quanno la luna saglie ra lo Monte
'mpieri a tti vene e non te pò fa nienti.
POVERO ULIVO
Su un cocuzzolo che guarda il ponente
c'è un ulivo contorto dai venti.
Se in cielo ci sono nuvole bianche
splendono le sue foglie com'argento.
È quando il sole poi si cala al mare
sulle sue punte pare che c'è l'oro.
Ma povero ulivo abbandonato
sono anni che nessuno ti ha zappato.
Intorno a te roveti son cresciuti.
È ai piedi tuoi il muro è diroccato.
Te lo ricordi quando ti piantarono
in una mattinata di febbraio?
Giovanni a una cannuccia ti legò,
con le mani la terra pareggiò.
Giorno per giorno i rami misurava,
a una a una le foglie contava.
Come avesse trovato un tesoro
quando riempì il primo paniere.
Per quaranta invernate ti zappò,
e tante volte a marzo ti potò.
Ma poi una sera stanco partì,
e non tornò. Quanto lo aspettasti!
Sentisti suono a morto dal Convento.
Gente saliva verso il Camposanto.
È son passati centoquarant'anni.
Che fine ha fatto povero Giovanni?
Cenere e terra nella fossa scura,
e qui dal colle tu lo aspetti ancora.
Quando a levante spunta mattutino
lo vedi salire per la via dei Piani.
Quando la luna sale poi dal Monte
viene ai tuoi piedi e non può farti niente.