di Sergio Melchiorre
Il giornalista David Platt scriveva sul Daily Worker, qualche giorno dopo Pearl Harbor, che «i film sono importanti quanto i proiettili, e necessari quanto i carri armati», ed è in quest’ottica di guerra che bisogna affrontare l’argomento.
Il maccartismo cinematografico ha rappresentato per gli intellettuali il periodo più buio degli Stati Uniti e pone ancora oggi, dopo quasi mezzo secolo, tanti quesiti, ai quali bisogna dare delle risposte chiare per giustificare l’accanimento politico contro l’intellighenzia che si riconosceva nel sindacalismo democratico hollywoodiano.
Dopo l’alleanza russo-americana per sconfiggere il nazismo, l’HUAC (La commissione per le attività antiamericane) redige la famigerata lista nera che riporta i nomi di centinaia di sceneggiatori, registi, musicisti, produttori e attori che vengono accusati di essere delle spie al servizio dell’U.R.S.S. Tra questi figurano anche i cosiddetti “Dieci di Hollywood”: Bessie, Biderman, Cole, Dmytryk, Lardner, Lawson, Maltz, Ornitz, Scott e Trumbo.
La dichiarazione di Bertolt Brecht, riportata in appendice del libro “Lista nera a Hollywood” di Giuliana Muscio , sintetizza amaramente lo stato d’animo degli artisti iscritti nella “blacklisting”. «Essendo stato chiamato davanti alla Commissione per le attività antiamericane, comunque, mi sento libero per la prima volta di dire alcune parole sulla situazione americana: guardando indietro alle mie esperienze di drammaturgo e poeta nell’Europa degli ultimi due decenni, desidero dire che il grande popolo americano avrebbe molto da perdere, molto da rischiare, se permettesse a qualcuno di restringere la libera competizione delle idee in campo culturale, o di interferire con l’arte che deve essere libera per essere davvero arte».
In realtà, l’HUAC accusava l’autore di “L’opera da tre soldi” di essere un membro del partito comunista americano, per il solo fatto di essere amico di Hanns Eisler, fratello del segretario del partito comunista tedesco Gerhardt Eisler. Il fatto di aver venduto a una ditta hollywoodiana (La Pressburger della United Artists) la sceneggiatura di “Hangmen Also Die”, dalla quale venne tratto il film “Anche i boia muoiono” (Fritz Lang, 1942), non era che un pretesto per poterlo accusare pubblicamente di essere un “sovversivo”.
La petizione popolare contro l’espulsione di Hanns Eisler dagli U.S.A., voluta da Charles Chaplin e firmata da Picasso, Matisse, Cocteau, Aragon, Feyder, Barrault…, è la dimostrazione palese che l’HUAC approfittasse della situazione politica, resa “incandescente” dalla guerra fredda, per sfruttare ideologicamente la “caccia alle streghe”. Non è un caso se Richard Nixon, noto esponente della Commissione per le attività antiamericane, fece del maccartismo la punta di diamante dell’anticomunismo americano e, grazie a ciò, divenne in poco tempo anche vicepresidente di Eisenhower alla Casa Bianca.
Richard Milhous Nixon, trentasettesimo presidente degli Stati Uniti, sarà costretto a dare le dimissioni il 9 agosto 1974, a causa dello scandalo Watergate.
Il film “Gli intrighi del potere – Nixon” (Oliver Stone, 1995) ripropone l’inchiesta del Washington Post come «una specie di tragedia shakespeariana con tanto di “cadaveri”, ma non quello che tutti si aspettavano: un’analisi politica di uno dei grandi sconfitti della Storia».
La visione del lungometraggio “Scomodi omicidi” (Lee Tamahori, 1995), anche se non tratta specificamente del maccartismo cinematografico, ci aiuta a capire il periodo storico in cui è nata la “caccia alle streghe” e il clima politico che si respirava negli U.S.A. durante gli anni Cinquanta. Il regista neozelandese, sfruttando abilmente la bravura attorica di un cast di attori validissimi (Nick Nolte, John Malkovich, Melanie Griffith…), riesce a ricostruire sul set «uno dei pochi noir recenti dove l’accurata ricostruzione d’epoca non rimane fine a sé stessa», ma è determinante per captare “l’atmosfera” in cui operavano i quattro poliziotti, in servizio presso il dipartimento di polizia della città di Los Angeles, agli inizi degli anni ’50.
Sono emblematiche le suggestive sequenze del film “L.A. Confidential” (Curtis Hanson, 1997) per rendersi conto del potere politico-decisionale nelle mani di alcuni detective del dipartimento di polizia, anche se la storia narrata appare oggettivamente inverosimile.
La cultura cinematografica americana è stata pesantemente danneggiata dal clima politico scaturito dalla guerra fredda e dalla paura, da parte della superpotenza, di perdere la propria supremazia militare e ideologica nel mondo.
Tra il 1947 e il 1956, periodo in cui vigeva il maccartismo negli U.S.A., furono comunque girati film interessanti come: “Barriera invisibile” (Elia Kazan, 1947), “Odio implacabile” (Edward Dmytryk, 1947), “Le forze del male” (Abraham Polonsky, 1948, “Tutti gli uomini del re” (Robert Rossen, 1949) e “Fronte del porto” (Elia Kazan, 1954).
Bisognerà aspettare l’uscita nelle sale de “Il prestanome” (Martin Ritt, 1976), con Woody Allen, Zero Mostel e Herschel Bernardi per vedere il primo film che ha il coraggio (e la possibilità) di denunciare pubblicamente gli anni bui del maccartismo a Hollywood.