Un raffinato libro di racconti brevi
che «ridesta dal sonno quelle persone
e quei personaggi che hanno abitato la sua infanzia»
di Sergio Melchiorre
Aldo Pellicciotta è nato a Gessopalena, un paese collinare del chietino, si definisce un duttile cosmopolita con le radici in terra d'Abruzzo, perché dopo aver dimorato in Inghilterra, in Lombardia e nel Molise e aver visitato diversi Paesi del mondo è tornato ai patri lidi.
Ora vive a Guardiagrele alle falde del massiccio della Maiella insieme alla moglie sposata nel 1984. Ha studiato economia politica alla Bocconi di Milano, poi si è laureato in scienze politiche a Roma. È innamorato della letteratura italiana sin dalle scuole medie inferiori quando il prof. Nicola Fiorentino gli insegnò il commento filologico, storico ed estetico stilistico. Ha incominciato a scrivere le sue prime poesie all'età di 16 anni, prima in lingua, poi in dialetto. Non è molto prolifico, infatti non ha una vasta produzione di opere in quanto molto riflessivo e pretenzioso con se stesso. Uomo di spettacolo, da giovane ha suonato la chitarra e cantato in piazza alle sagre paesane, e nei matrimoni. Ha preso parte a uno sceneggiato televisivo su Rai3 ed è stato campione del quiz televisivo L'Eredità su Rai1. Scrive poesie, racconti brevi, articoli politici ed economici sui giornali. Tiene conferenze nelle Università della terza età. Ha fatto parte della giuria in alcuni concorsi di poesia ed egli stesso è stato premiato, ma partecipa raramente. Questa è la sua prima pubblicazione ma sta scrivendo un romanzo giallo che si riserva di pubblicare prossimamente. Nel 2021, è stato premiato a Luino al concorso internazionale di poesia «Tramontana di Versi», evento letterario ideato e realizzato dall’associazione “AISU – Insieme verso Itaca” di Luino (Varese).
Il poeta-scrittore Dante Troilo scrive nella prefazione del libro: «Le radici del cuore del mio amico-scrittore Aldo Pellicciotta. Aldo ha sempre amato cantare, così come ha amato la poesia e la letteratura. Io l’ho incontrato dentro questa veste sentimentale (l’altra, razionale, è politico-economica) nei primi anni Settanta, grazie a rappresentazioni folkloristiche-teatrali costruite da noi e altri amici. Il mattatore era, allora, Domenico Turchi che poi ha avuto fortuna come demologo-cabarettista. […] L’amore si esaltava e si esauriva negli sguardi, nello scambio di poche parole o, al massimo, di un ballo guancia a guancia, come racconta lui stesso in un capitolo del libro. Poi, con gli anni che sono volati via, Aldo si è ritrovato sulla roccia di gesso dell’emblematico paese a ripensare ciò che è stato, e al pari di John Keats, il poeta londinese che nel primo libro del poema Endimione scrive: «Più spesso, gravemente, quando ore d’amore malate m’avevano lasciato meno bambino, sedevo contemplando le figure bizzarre di superbe nubi sciogliersi nello specchio».
(Il poeta John Keats)
Anche lui ha deciso di contemplare e raccontare le “figure bizzarre” del suo borgo natio. Per fare questo, lo scrittore ha scavato nei ricordi, alla ricerca di quel - tempo perduto- di proustiana memoria per ridestare dal sonno quelle persone e quei personaggi che hanno abitato la sua infanzia e prima giovinezza. Li richiama uno per uno da “sotto” la collina (non sulla) dove dormono, allo stesso modo di Edgar Lee Masters nella sua Spoon River Antology. Lo scopo non è soltanto quello di informare i giovani lettori o di rinverdire la memoria a quelli più attempati, ma, soprattutto, rappresentare una comunità in uno spazio e un tempo definiti. Sono tutti personaggi veri, con i loro nomi, le storie, gli aneddoti, le frasi celebri, spesso dialettali. Volutamente non ne cito alcuno perché sono tutti ben descritti e impressi nelle pagine del libro. Dico, però, che non sono uomini e donne vissuti nell’ombra. Al contrario, sono stati coperti da luce, anche nella miseria, durante la loro esistenza in questo piccolo-grande paese, Gessopalena, dell’Abruzzo collinare tra i fiumi Sangro e Aventino, con la Maiella madre a vegliare. Nell’ombra sono tutti finiti quando le luci si sono spente e loro sono andati via, in silenzio, senza rimpianti, paghi di quel poco che hanno avuto e di quello che hanno lasciato. Lo scrittore ci ha regalato un paese semplice e sorridente, anche nella follia, nonostante la povertà, le case rimediate, la mancanza assoluta di servizi essenziali; la forte emigrazione che garantiva una “rimessa” necessaria per andare avanti; l’alcol che metteva una pezza temporanea ai buchi del disagio esistenziale; le streghe e gli “spiriti” della fame; la chiesa per una preghiera di speranza; la solidarietà: tanta e immancabile. Pezzi di storia e tradizioni. Infine, la musica e le serenate; la giostra su cui tutti sono saliti per volare; il circo nel quale tutti hanno recitato: alcuni esibendosi al trapezio in tripli salti mortali, altri saltellando su una pedana, vestiti da clown, per far sorridere i più piccoli, ignari del duro gioco della vita».
(Il glottologo Gennaro Finamore)
Gessopalena, il paese che ha dato i natali al glottologo Gennaro Finamore e al patriota, poeta e giornalista Gian Vincenzo Pellicciotti, ha sempre esercitato un fascino quasi ipnotico sugli abitanti del paese, sia su quelli che ci abitano dalla nascita, ma soprattutto su coloro che, sfortunatamente, per i più svariati motivi, ci hanno trascorso solo alcuni anni, prevalentemente quelli della fanciullezza e dell’adolescenza, e che poi hanno dovuto trasferirsi, a malincuore, per andare a lavorare all’estero o in qualche altro paese o regione italiana. Tra questi, anche Aldo Pellicciotta che, prima per motivi di lavoro e poi per motivi affettivi, ha vissuto lontano da Gessopalena, ma ha sempre custodito nei suoi ricordi gli avvenimenti più salienti e divertenti della sua gioventù.
(Il poeta Tommaso Tozzi)
Tra i tanti gessani che per motivi diversi si sono allontanati dal luogo natio, mi piace ricordare il mio indimenticabile mentore, ossia il poeta e scrittore Tommaso Tozzi, a cui in Etiopia è stata intitolata la scuola di Abenezer alla memoria; e che scriveva:
A Gessopalena
Occhi rosi d’invidia
ti hanno donato
figli ingrati.
Nel racconto di vecchi dal volto
scavato dagli anni
ti sogno felice.
Sulla roccia ardita
sotto lo sguardo benigno
della dea agreste
riposi.
Anima vergine
come la scaglia di gesso,
di stirpi remote
che affidavano al canto
nel caldo silenzio
delle lunghe notti estive
cocenti passioni d’amore.
Tornando ai nostri giorni, Aldo Pellicciotta, si può definire “gessano DOC” perché ha arricchito la sua anima e forgiato il suo carattere su quel substrato culturale che rappresenta l’humus che ha nutrito intere generazioni creando tra persone e territorio legami indissolubili, “Le Radici del cuore” appunto, come li definisce l’autore. Radici che hanno dato vita a storie e vicende indimenticabili che hanno ispirato l’autore. Il libro, intitolato proprio “Le radici del cuore” è nato nel corso della lunga pandemia che tutt’ora affligge il nostro pianeta e coglie pienamente la cultura della “gessanità” nel suo aspetto più positivo e incisivo, raccontandoci degli aneddoti briosi e, nel contempo, che ci fanno riflettere e sorridere, perché egli, persona straordinariamente sensibile e perspicace, sa bene che, come scrive Osho Rajneesh, «la risata è il fenomeno più sacro che esista sulla terra, poiché esso è la vetta più alta della consapevolezza».
L’ambiente, in cui sono collocate le storie, popolate dai personaggi più sui generis di Gessopalena, alcuni dei quali ho avuto anch’io il piacere e l’onore di conoscere personalmente, è descritto in modo mirabile; esso è stato idealizzato ed è diventato, nel cuore di Aldo, il luogo deputato dove le sue reminiscenze si ricongiungono inconsciamente ai desideri più reconditi che egli ha coltivato segretamente nella sua giovinezza. L’autore racconta gli accadimenti più esilaranti e irreali della storia de “Lu Jèssë”, utilizzando una scrittura raffinata, scorrevole e sottilmente ironica. Nel racconto dal titolo “Giggiotte”, che era un grande invalido della Prima Guerra Mondiale, lo scrittore narra, in maniera spassosa e ineccepibile, alcuni frammenti della vita di Luigi Caniglia, utilizzando a volte il dialetto gessano per rendere più efficaci gli episodi legati alla sua particolare personalità. Questo espediente è stato magistralmente utilizzato anche in altri racconti dello stesso volume perché, come scriveva Pier Paolo Pasolini, «il dialetto diventa lingua, quando viene scritto ed adoperato per esprimere i sentimenti più alti del cuore [...] per esprimere le proprie idee, il proprio sentire, i propri desideri [...] È corretto affermare che il dialetto è una lingua». Nel racconto «Le Serenate», l’autore si lascia trasportare dalla nostalgia per il passato e ci parla delle serenate che «al giorno d'oggi […] sono considerate obsolete e se ne parla come di un reperto storico. Attualmente si usano gli sms e i social che permettono anche ai più timidi di farsi avanti». Puntualizza anche il fatto che i componenti che si esibivano durante le rimpiante serenate venivano spesso invitati a rallegrare le feste di nozze. Nel racconto, forse quello più dilettevole, intitolato «Lu Zirre», lo scrittore narra le fantomatiche vicissitudini di un fabbro, chiamato comunemente «Mastre Luìgge», che era «dotato di una grande e fervida fantasia che gli permetteva di immaginare fatti mai accaduti che raccontava come fossero verità assolute». “L'inverno a Gessopalena”, “Losanna”, “Coprire il peccato” e “Il ballo della matricola” sono dei veri e propri capolavori di bravura narrativa, dove l’esercizio di scrittura del narratore si mescola abilmente agli avvenimenti reali e circostanziati che hanno caratterizzato quell’epoca in cui il rispetto reciproco e, soprattutto, la capacità di ascolto erano ben radicati nella educazione e nella cultura locale. Ogni storia, sapientemente raccontata dallo scrittore, è la sintesi documentata di alcune vicende accadute realmente a Gessopalena, da raccontare davanti a un focolare acceso, sulle scale della Chiesa della “Madonna dei Raccomandati” o davanti alla “Fontana Monumentale”, realizzata dallo scultore Carlo Fontana nel 1921, che è stata senz’altro la silenziosa testimone dei fatti narrati o da far leggere ai giovani di oggi, che hanno la fortuna di viverci ancora, e che potranno così dimenticare almeno momentaneamente l’utilizzo del P.C., della T.V. e dello smartphone. La lettura di questo libro arricchirà indelebilmente l’animo dei giovani gessani permettendo loro di scoprire sfumature sconosciute del paesello natio e di alcuni suoi cittadini, ma saranno soprattutto i meno giovani che ritroveranno ne “Le radici del cuore” i personaggi più stravaganti che hanno fatto la storia di un paesello che conserva ancora la poeticità dei villaggi abruzzesi che continuano a vivere all’ombra della Majella e che hanno caratterizzato e impreziosito, con i loro vissuti, il passato di tutti noi gessani.