Il calvario della verità di Cosimo Moccia
di Sergio Melchiorre
Lo scorso nove luglio nella cittadina di Manduria si celebravano, quasi in contemporanea, due eventi: il primo, nella masseria Li Reni di proprietà di Bruno Vespa, dove il generale Roberto Vannacci, neo eletto al Parlamento Europeo, presentava il suo ultimo libro, mentre il secondo, in una gremita piazza Garibaldi, la sezione locale dell’ANPI celebrava il ricordo del manduriano Cosimo Moccia, il carabiniere-Partigiano fucilato a ventidue anni dalla Decima Mas il 10 dicembre 1944 a Tramonti di Sotto, in provincia di Pordenone
È proprio la Decima MAS l’unico sottile “fil rouge” che può legare in qualche modo questi due avvenimenti così distanti e antitetici tra loro soprattutto per i valori ideologici che li contraddistingue.
Ovviamente scelsi di partecipare alla manifestazione organizzata dall’ANPI e, ascoltando le parole del presidente Gregorio Pizzi, rimasi letteralmente colpito dalla storia di questo giovane Partigiano.
La sua storia mi colpì a tal punto che sentii il bisogno di informarmi ulteriormente e, su indicazione di alcune persone presenti, venni a conoscenza dell’esistenza del libro «Sulle orme di una medaglia», scritto da Anna Rita Morleo e che racconta la drammatica vicenda di Cosimo Moccia.
Ho subito contattato l’autrice e, dopo qualche giorno ho avuto il piacere d’incontrarla, di avere notizie dettagliate sulla sua ricerca storica e di venire in possesso del suo interessantissimo libro.
Anna Rita Morleo, già comandante della Polizia Municipale di Manduria, attualmente Responsabile della Polizia Locale di San Marzano di San Giuseppe (TA), ha dedicato a questa sua monografia molti anni di ricerca storica condotta con oggettività scientifica; si è recata personalmente nei luoghi in cui si sono svolti i fatti e in tutti gli uffici in cui poteva trovare reperti che potessero supportare e documentare la sua indagine e ha intervistato parecchie persone che in vario modo erano a conoscenza dei fatti, o perché coinvolti direttamente o perché funzionari degli uffici preposti.
Ancor prima di avventurarmi nell’appassionata e coinvolgente lettura del libro, ho avuto modo di sentire dalla viva voce dell’autrice la narrazione dei fatti salienti accaduti in quel lontano 1944 in Friuli e dall’interpretazione che è stata loro data da chi ha letto, interpretato e archiviato i vari documenti presenti.
Cosimo Moccia, nato a Manduria il primo gennaio 1922 si arruolò nei Carabinieri in giovanissima età, prestando servizio prima in Basilicata e poi in Friuli dove, nel maggio 1944 aderì alla Brigata Osoppo, acquisendo il nome “Aldo” come nome di battaglia.
Cosimo Moccia quindi fu tra i protagonisti della Repubblica partigiana della Carnia che sorse nell’estate del 1944. Contro questa realtà si scatenò la controffensiva nazifascista per distruggere il movimento partigiano e trasformare la Carnia nella terra dei cosacchi che avevano seguito i nazisti nella loro ritirata. Fin dall’inizio di ottobre venne messa in atto contro la Carnia l’operazione Waldlaufer, attuata dai corpi speciali della Wehrmacht, reparti di SS, fascisti di brigate e milizie nere, Decima Mas e bande di cosacchi. Costoro attaccarono, con una superiorità sovrastante, le formazioni partigiane Garibaldi e Osoppo. Battaglie e rastrellamenti durarono fino al 20 dicembre 1944. Caddero sul campo più di 300 partigiani. Ancor di più furono i civili uccisi e deportati, numerosissimi furono i casi di violenza: donne stuprate, case, malghe e fienili incendiati, chiese profanate, borghi saccheggiati e incendiati, come Barcis distrutta l’11 settembre ’44.
È in questo contesto storico che si colloca il martirio del nostro Partigiano manduriano.
Il battaglione “Valanga” della Decima Mas, la notte dell’8 dicembre circondò il borgo di Palcoda. All’alba caddero combattendo anche il comandante delle formazioni Garibaldi-Friuli Giannino Bosi “Battisti”, e la sua compagna Jole De Cillia “Paola”. Fra i partigiani catturati, circa una trentina, il comandante della Decima Mas Manlio Morelli incluse nell’elenco dei condannati a morte anche Cosimo Moccia.
I dieci partigiani catturati dai militari della Decima Mass (Adalgerio Ceccone, Ottavio Cominotto, Gino De Filippo, Vittorio Flamini, Gino Minin, Osvaldo Rigo, Carlo Sclavi, di formazione garibaldina e Cosimo Moccia, Ulderico Rondini e Salvatore Villani di formazione osovana) furono portati nella macelleria di Tramonti di Sotto e, dopo essere stati interrogati e torturati brutalmente, furono trasportati nel cimitero del paese dove, a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro, furono fucilati a ridosso del muro di cinta del cimitero.
L’efferato eccidio avvenne il 10 dicembre sotto il comando del già citato capitano Manlio Morelli, ufficiale del Battaglione Guastatori Alpini "Valanga".
La drammatica storia partigiana del nostro Cosimo Moccia sembrerebbe essere tutta racchiusa e conclusa in poche pagine del fascicolo n. 8 sugli eccidi partigiani del Fondo “Rappresaglie, eccidi, arresti, in Friuli” conservato presso l’Istituto friulano per la storia del Movimento di Liberazione, a Udine; in realtà non è così, poiché ci sono ancora molti punti oscuri e non si riesce a comprendere come mai prima gli venne assegnata una Medaglia d’oro al valor militare alla memoria e poi, inspiegabilmente, la stessa onorificenza venne declassata a medaglia d’argento.
È proprio per cercare di derimere questa aggrovigliata matassa burocratica e per dare i giusti riconoscimenti a chi ha sacrificato la propria vita per la nostra Libertà che la nostra Anna Rita Morleo è ancora alla ricerca della verità storica.
Al momento però atteniamoci ai fatti che la nostra autrice è riuscita a documentare grazie alla sua meticolosa indagine.
Cosimo Moccia pagò con la vita a 22 anni il suo atto di eroismo, fu sottoposto a lungo a tortura ma non svelò i nomi e i nascondigli degli altri partigiani. Proprio per questo fu insignito della medaglia d’oro con decreto firmato dal Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, emesso il 23 Aprile 1947 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 272 del 23 Novembre 1948 n. 3747, con la seguente motivazione: «Carabiniere di elevati sentimenti patriottici, animato da sincera dedizione alla causa di libertà della Patria, raggiungeva con entusiasmo le formazioni partigiane. Durante un rastrellamento operato da preponderanti forze avversarie, si distingueva per audacia e sereno sprezzo del pericolo. Catturato insieme ad altri compagni da un reparto della X Mas, sottoposto a stringenti interrogatori allo scopo di strappargli notizie sull’organizzazione delle formazioni clandestine, manteneva fermo ed eroico contegno. Escluso dalla fucilazione che il comandante nazifascista aveva ordinato, fiero dei suoi nobili ideali, si rivolgeva al nemico chiedendo che la sorte dei compagni fosse anche la sua. Incluso nella schiera dei martiri immolava la sua giovine esistenza per la liberazione d’Italia. Mirabile esempio di solidarietà umana e di sublime ardimento».
Questa motivazione che compare sul primo decreto per l’attribuzione della medaglia d’oro, non cambierà mai, mentre con un altro decreto fu corretto il valore della medaglia, non del solo carabiniere Cosimo Moccia ma di diversi altri giovani morti per la Patria.
È da precisare che ancora oggi i parenti testimoniano il fatto che nel 1945, prima ancora dell’attribuzione della medaglia d’oro da parte del Presidente del Consiglio, ricevettero un invito dal Comando Divisionale dei partigiani di Udine a recarsi in Friuli per ritirare una medaglia d’oro (e non di argento).
Dopo l’attribuzione ufficiale della medaglia d’oro ed il successivo declassamento, i familiari hanno chiesto più volte allo Stato di rettificare il cambiamento avvenuto, ma l’unica risposta che sono riusciti ad ottenere è che si sarebbe trattato di un errore di scritturazione; questa motivazione tuttavia ancora oggi non trova sufficienti e convincenti spiegazioni.
(Il tenente Anna Rita Morleo)
Scrive l’autrice nella sua introduzione del libro: «Incontrando più volte la sorella ed i nipoti del Moccia, nei loro racconti avvertivo una grande amarezza, soprattutto per l’ambiguità, mai chiarita circa il tipo di decorazione. Essi avevano la necessità di sapere con certezza quale tipo di decorazione era stata attribuita al loro caro, ma solo per un senso di giustizia e di veridicità storica e non certo per rivendicare “esborsi economici”, come invece era stato nell’interrogazione parlamentare del 16 novembre 1963, in cui l’onorevole Alpino aveva chiesto, oltre alla rettifica della medaglia - per altro già chiesta dai famigliari il 29 aprile 1959 - anche il soprassoldo […] Per correttezza, preciso che quanto fu tolto individualmente ai partigiani venne, in qualche modo, “restituito” alla provincia di Pordenone, alla quale fu riconosciuto il grande contributo offerto dalle Brigate “Garibaldi” e “Osoppo”».
Questi sono, in sintesi, i fatti che l’autrice ci ha raccontato in maniera coinvolgente e ampiamente dettagliata e documentata e sono sicuro che Anna Rita Morleo, oltre ad avere già posta l’attenzione di tutti noi sulla singolare vicenda di questo giovane Partigiano manduriano, riuscirà, con la sua tenace determinazione e perseveranza a far avere i giusti riconoscimenti al sacrificio di Cosimo Moccia, per porre così fine a quello che lei stessa definisce “il calvario della verità”.