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di Massimo Reina

Se c'è una cosa che Hollywood sa fare bene è cavalcare le mode, anche quando finiscono per trasformarsi in scivoloni clamorosi. L'ultimo esempio di questa sindrome da attualizzazione forzata è "La Guerra dei Rohirrim", un film che aveva tutte le potenzialità per arricchire l'universo di Tolkien, ma che si perde nella smania di modernizzarlo con un pennello ideologico che finisce per imbrattare, più che valorizzare.

 

 

Una protagonista super noiosa

Partiamo da Hera, la protagonista, su cui si erano appuntate grandi speranze. Si era tanto discusso su come la sceneggiatura avrebbe dato centralità a questo personaggio, visto che Tolkien le aveva dedicato a malapena qualche riga. Ebbene, Hera non è né una Eowyn, eroina tragica e complessa, né un personaggio come Arwen, simbolo di amore e sacrificio. Piuttosto sembra sbucata da un altro universo, da un film trash di serie Z, completamente aliena all'immaginario tolkieniano. Si aggira per il film come lo Stallone di Rambo III, invincibile, per quello che ormai è diventato il marchio di fabbrica di ogni personaggio femminile nelle produzioni hollywoodiane degli ultimi dieci anni. Non bastava renderla forte; bisognava anche svuotarla di qualsiasi sfumatura, facendola apparire invincibile, banale e, di conseguenza, noiosa. Ma il problema non è solo la sua “supermegaipersuperiorità”: Hera è un personaggio che non evolve, travolto dagli eventi più che motore degli stessi. La sceneggiatura non le dà un senso, non le costruisce attorno una trama coerente. Rimane una comparsa travestita da protagonista, incapace di lasciare un segno. E il finale, che dovrebbe essere l'apoteosi della sua storia, puzza di già visto da un miglio di distanza.

Un antagonista che sembra una maccchietta

Non va meglio con Wulf, l'antagonista. Parte con ottime premesse, promettendo di essere un personaggio ambiguo, a metà tra luce e ombra. Ma anche lui viene ridotto a una macchietta e trasformato nel classico cattivone di turno, misogino e maschilista da disprezzare a prescindere, seguendo uno stereotipo talmente abusato che ormai suscita più sbadigli che indignazione. Così, invece di approfondire i conflitti morali e le sfumature che avrebbero potuto rendere la storia interessante, il film si accontenta di polarizzare buoni e cattivi con la sottigliezza di un martello pneumatico.

E poi c'è il tradimento più grave: l'incapacità di utilizzare i mondi, i personaggi, le creature, la simbologia e la poetica di Tolkien. "La Guerra dei Rohirrim" non ha anima, si limita a scopiazzare qua e là dall'estetica del Signore degli Anelli, rivestendo il tutto con una patina moderna che vorrebbe essere accattivante ma risulta solo artificiosa. Modernizzare Tolkien è un'impresa difficile, certo. Ma farlo in questo modo è quanto di più sgraziato, sbagliato e, alla lunga, fastidioso si potesse fare.

E qui arriviamo al nodo centrale: la mania di Hollywood di infilare ovunque la sua agenda woke, anche quando non c'entra nulla. Non fraintendetemi: l'inclusione e la rappresentazione sono obiettivi nobili. Ma quando diventano forzature, rischiano di snaturare le storie e gli universi che pretendono di arricchire.

Hollywood e la mania di infilare ovunque la sua agenda woke

Tolkien non ha mai scritto storie "moderne". Il suo mondo è profondamente radicato in un immaginario medievale, con i suoi valori, le sue contraddizioni e la sua poetica. Stravolgerlo per renderlo appetibile a un pubblico contemporaneo significa tradirlo, non onorarlo.

"La Guerra dei Rohirrim", come la serie "Gli Anelli del Potere", soffre di una totale incoerenza e dunque è distante anni luce dalla narrativa tolkieniana. Per carità, è un prodotto più apprezzabile della serie di Amazon, che di fatto ha toccato il fondo, ma ne condivide il peccato originale: quello di trattare Tolkien come una tela bianca su cui proiettare le ossessioni del nostro tempo, invece di rispettarlo come l'artista che ha creato un mondo unico e irripetibile. È una scelta che paga? A giudicare dalle reazioni del pubblico, no. La gente è stanca di vedere storie piegate a logiche di mercato o a ideologie che nulla hanno a che fare con l'essenza dei personaggi e degli universi narrativi. È stanca di una Hollywood che sembra aver dimenticato come raccontare storie autentiche, preferendo inseguire mode passeggere. E soprattutto, è stanca di vedere Tolkien, uno degli autori più amati di sempre, trasformato in un pretesto per operazioni commerciali che non riescono neanche a rispettare il minimo sindacale della coerenza narrativa. Alla fine, "La Guerra dei Rohirrim" è l'ennesima dimostrazione che l'attualizzazione forzata non è sinonimo di innovazione. E che tradire Tolkien, nel tentativo di renderlo moderno, è un sacrilegio che nessuna vernice woke potrà mai giustificare.

 

 

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Info Autore
Massimo Reina
Author: Massimo Reina
Biografia:
Giornalista, scrittore e Social Media Editor, è stata una delle firme storiche di Multiplayer.it, ma in vent’anni di attività ha anche diretto il settimanale Il Ponte e scritto per diversi siti, quotidiani e periodici di videogiochi, cinema, società, viaggi e politica. Tra questi Microsoft Italia Tecnologia, Game Arena, Spaziogames, PlayStation Magazine, Kijiji, Movieplayer.it, ANSA, Sportitalia, TuttoJuve e Il Fatto Quotidiano. Adesso che ha la barba più bianca, ascolta e racconta storie, qualche volta lo fa con le parole, altre volte con i video. Collabora con il quotidiano siriano Syria News e il sito BianconeraNews, scrive per alcune testate indipendenti come La Voce agli italiani, e fa parte, tra le altre cose, dell'International Federation of Journalist e di Giornalisti Senza Frontiere. Con quest’ultimo editor internazionale è spesso impegnato in scenari di guerra come inviato, ed ha curato negli ultimi 10 anni una serie di reportage sui conflitti in corso in Siria, Libia, Libano, Iraq e Gaza.
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