di Virginia Murru
Mancano solo 9 anni, il 2030 è una scadenza che incombe, i target da raggiungere sono tanti, e tutti di fondamentale importanza per cambiare il volto di questo pianeta.
L’Agenda Onu 2030, un programma fissato in 17 punti, è stata sottoscritta da ben 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, sul finire del 2015. In sei anni, tuttavia, ben poco di questo grandioso obiettivo è stato convertito in azione.
L’allarme lanciato dagli scienziati non è uno scherzo, l’Umanità deve essere consapevole che l’inerzia potrebbe portarci verso un punto di non ritorno. Non si tratta di retorica o catastrofismo, basterebbe guardarci intorno per notare i segni dello sfregio che il pianeta mette in luce ovunque. Ben limitati sono gli spazi in natura immuni dallo scempio che l’essere umano ha causato, rivolgimenti riguardanti soprattutto il Novecento e l’inizio del terzo millennio.
Non che le orme lasciate dai nostri sistemi antropizzati non esistessero anche prima, l’homo sapiens ha cominciato ad interagire e a modificare l’ambiente circostante fin dagli albori della civiltà umana, quando il potere dell’intelligenza ha reso visibile la differenza di disciplina e acquiescenza alle leggi della natura nei confronti di tutti gli altri esseri viventi.
Qui non si tratta solo di piegare in obbedienza la natura per esigenze di pura sussistenza, siamo andati ben oltre dalla rivoluzione industriale in avanti. La questione è che si sono infrante le leggi che hanno implicazioni con l’equilibrio biologico del pianeta, attraverso l’alterazione dei cicli dell’intera biosfera, ossia gli elementi naturali che costituiscono la trama e l’ordito della vita.
E noi ancora a tergiversare, a persuaderci che le parole siano il fondamento dei nostri manifesti etici, mentre si temporeggia in termini di azione, di applicazione concreta di quegli intenti non di rado sottoscritti nella solennità dei meeting internazionali, con il perenne timbro a cartiglio delle promesse mancate.
I quattro pilastri della vita, ossia i quattro elementi simbolo, che poi costituiscono lo stato di aggregazione della materia, sono pervasi, assediati e sconvolti dalla presenza invadente della specie umana, che peraltro si è moltiplicata a dismisura: siamo ben otto miliardi, e il problema di un eccesso di antropizzazione certamente esiste, ma non sarebbe il male peggiore per il pianeta.
Siamo al di là della teoria sui quattro elementi naturali formulata dai filosofi greci, il primo fu Anassimene di Mileto.
I danni e gli stravolgimenti vengono dai sistemi di vita artificiali e un’inversione di rotta nei confronti degli equilibri naturali, attraverso le alterazioni delle nostre esigenze legate all’innovazione e al progresso forsennato, perseguito tramite devastazioni, deforestazioni, inquinamento atmosferico, inquinamento del suolo, corsi d’acqua, mari e oceani.
Niente abbiamo risparmiato, lo scempio a larghissimo raggio, va fin nei fondali degli oceani, che abbiamo trasformato in discariche sommerse, riversandovi elementi inquinanti, che peraltro sono tutt’altro che biodegradabili. Anche in questi versanti, nelle profondità dei mari, ne fa le spese la vita che li abita, del resto le stragi di pesci di ogni specie quasi non ci impressionano nemmeno.
Secondo le stime del Wwf, questo pianeta ricchissimo di vita, abitato da 5 milioni di specie, presenta un quadro drammatico: il tasso di estinzione dovuto all’irresponsabilità della specie umana, è di mille volte superiore a quello di estinzione naturale.
La specie umana è invadente nella vera accezione del termine, perché se volessimo essere schietti, ci riconosceremmo nell’attitudine dei bruchi voraci che tutto divorano intorno a sé; ma il confronto non regge, ci sarebbe anzi da chiedere scusa ai bruchi, che in natura conoscono bene qual è il limite del ruolo, e non vanno oltre.
L’attività umana, che in apparenza è rivolta al bene della società, a ‘redimerla’ dagli scrupoli e dalla consapevolezza dell’appartenenza ad un pianeta al quale deve rispetto e attenzione, è proiettata verso il benessere a qualunque costo. La crescita economica, il Pil e gli indicatori macroeconomici sono i comandamenti da osservare, l’obiettivo primario che scavalca qualunque codice etico: il fine giustifica i mezzi. Questo assioma è lo stato maggiore della morale che ha caratterizzato l’ultimo secolo.
Secondo le tristi concezioni che ci hanno portato fino a questo limite di guardia dell’arbitrio, e pertanto trasgredire con arroganza i legittimi divieti della natura è considerata norma, e la ragione è in definitiva un azzardo verso la libertà di agire.
Non si argomenta intorno ai semplici criteri di benessere materiale, dato che il benessere in realtà è legato al sillogismo del profitto, per questo è stato elevato a potenza, è diventato un’ossessione legata alla famelica rincorsa del progresso. Sì, un treno in corsa ormai lanciato ad altissima velocità, che nessuno sembra in grado, non dico di fermare, ma almeno rallentare, prima che questa folle corsa verso il nulla possa essere fatale alla Vita e al pianeta, prima che il ‘male’ diventi irreversibile.
Eppure sembra che la specie umana abbia la misteriosa inclinazione a proiettarsi in orizzonti ostili alla vita, e dunque a spingersi talmente oltre il limite dell’erta, da rischiare l’autodistruzione. Abbiamo davvero saccheggiato il suolo e la nostra biosfera, la pelle di questo paradiso terrestre, che è stato tradito con il suo immane patrimonio naturale. Dissipato per fini tutt’altro che nobili, giacché non si tratta di esigenza di sopravvivenza, ma smania di compiere rapine ai danni di questo meraviglioso pianeta, con i suoi grandiosi, complessi ecosistemi e biodiversità.
Dobbiamo fermarci veramente, prima che sia troppo tardi, fare debito uso di quel piccolo dettaglio di pertinenza solo umana che si chiama ragione, anche se a questo punto gli animali con il loro infallibile istinto potrebbero darci solenni lezioni. Dovremmo fare ammenda di tutti gli accidenti che i nostri errori ci hanno causato, in primis le tragedie dovute alle alterazioni climatiche, e alle conseguenze sempre più terribili in termini di catastrofi naturali e vittime umane che comportano.
Se fossimo capaci di ascolto, queste sferzate della Natura certamente fanno un gran male, ma sono anche allarmi che dovrebbero spaventarci seriamente, indurci finalmente a riflettere, e soprattutto agire. “Non c’è più tempo” continuano a dire in tutte le lingue gli scienziati, bisognerebbe ricorrere ai luoghi comuni e concludere che non c’è peggiore sordo di chi non vuole sentire.
L’Agenda 2030, sottoscritta da quasi duecento Paesi membri dell’Onu, contiene 17 grandi obiettivi, che non possono più essere blindati dalla nostra inerzia. O forse viltà, perché un po’ vili lo siamo stati di fronte a problemi così gravi da mettere alla berlina la nostra sopravvivenza, e un’incognita sul perdono della Natura. Che non meritiamo.
I 17 punti dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals), sono un bel programma d’azione che comprende 169 target. C’era stato già un precedente impegno con gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, ossia ‘Millennium Development Goals’, dove in primis figurano traguardi di grande importanza per l’Umanità, quali le iniziative volte alla lotta contro la fame nel mondo, misure di contrasto per invertire la rotta dei cambiamenti climatici, la riduzione delle emissioni per contenere l’inquinamento atmosferico e diversi altri.
Ma vediamo i 17 obiettivi del programma Onu, che dovrebbero realizzarsi entro il 2030:
1-2 Sconfiggere la povertà e la fame – 3 Salute e benessere delle persone – 4 Istruzione di qualità – 5 Parità di genere – 6 Acqua pulita e servizi igienico-sanitari – 7 Energia pulita e accessibile – 8 Lavoro dignitoso e crescita economica – 9 Impresa, innovazione e infrastrutture – 10 Ridurre le disuguaglianze – 11 Città e comunità sostenibili – 12 Consumi e produzione responsabili – 13 Lotta contro il cambiamento climatico – 14 La vita sott’acqua – 15 La vita sulla Terra – 16 Pace, Giustizia e Istituzioni solide – 17 Partnership per gli obiettivi.
Gli ingredienti ci sono tutti, e l’intelligenza non manca alla specie umana per guidare il cambiamento e ricondurre l’Umanità in una strada più degna, dove la Vita non subisca il ricatto del profitto a tutti i costi, del progresso senza principi etici da rispettare, e ogni essere vivente possa avere lo spazio al quale ha diritto secondo Natura. Dove si possa respirare senza maschere sul volto, tributo che amaramente paghiamo ai nostri azzardi e al nostro troppo libero arbitrio.
Nonostante tutto possiamo farcela, alla Terra si può dire ‘fatti bella’, com’eri una volta.
Il pianeta, anche se facciamo finta di non vedere, ha davvero il volto sfregiato, ma il progresso ci ha dotato di tutti gli strumenti idonei per rimettere ordine in questa bussola impazzita. Il resto lo farà il buon senso, possiamo ancora aspirare alla remissione del male, se il tempo non lo usiamo per giocare a dadi con Belzebù.