di Salvatore Fabiano
Il mondo sportivo piange per la sua scomparsa. Apprendo e resto attonito. Un figlio del popolo approdato al calcio europeo, un ragazzo nato in un borgo antico della Calabria tirrenica che un giorno, inaspettatamente, disputa una finale di Coppa dei Campioni d'Europa, che diventa per tre volte campione d'Italia. Di Silvio Longobucco in questi giorni si scriverà tanto e non solo per il suo essere stato bravissimo calciatore. Basterà a noi tutti consultare gli almanacchi e gli archivi dei giornali sportivi.
Voglio limitarmi a parlar di lui nel periodo iniziale, negli albori della sua carriera, quando me lo trovai di fronte nel campo sportivo della sua Scalea. Era il Campionato 1966-67 e non era ancora sedicenne. Io avevo qualche anno di più. Terzini entrambi con compiti di insistere sulla stessa fascia. In quella gara, Talao Scalea-Belvedere, toccava a me marcare Aldo Mauro, anch'egli scomparso due anni fa, ma finii per trovarmi Silvio con tanta insistenza da controllare. Dominava quel corridoio di campo con la sua velocità e con quel mancino sempre in azione. Qualche rudezza al ragazzino debuttante gliela riservai e, nel tempo, me la rimproverò.
Del suo debutto tra noi dilettanti conservo, tra i miei ricordi d'archivio, il ritaglio della Gazzetta del Sud che lo cita. Con lui il portiere Gianni Formica, Pino Rugiero, Antonio Lanzaro, Aldo Mauro e tanti altri avversari che restarono miei e suoi amici per sempre. Di fronte Pasquale Bergamo, Ciccio Arcuri, Carmelo Valente, Giacinto Russo, Ugo Luongo ed altri.
Ternana, Juventus, Cagliari, Cosenza furono le tappe di una bella carriera, forse un po' avara rispetto a quel che avrebbe meritato. Per una volta fu convocato in una formazione dell'Italia sperimentale, come la definivano allora.
Ci ritrovammo a Torino ai tempi della Juventus in una concessionaria di auto e parlammo dei “nostri giorni”. Gli regalai poi l'articolo del suo debutto e lui l'accolse come un dono prezioso. Mi disse, dopo molti anni, che lo conservava.
Ci incontrammo spesso in seguito quando egli frequentava le Scuole Calcio, dirigeva il suo Scalea ed io ero segretario del comitato zonale del Settore Giovanile. Incontri piacevoli durante i quali il mondo si fermava, riparlavamo del tempo andato che in me faceva emergere importanti ricordi ed a lui, forse, suscitava sorrisi divertiti, pensando al “lampo dei manipoli e l'onda dei cavalli”, per dirla con Alessandro Manzoni. Era stato negli spogliatoi dorati di mezza Europa, aveva calcato Stadi come l'Olimpico, il Meazza, il Comunale di Torino e di Firenze, ove debuttò con la maglia della Juventus. Del breve periodo del suo dilettantismo rammentava tanto: calciatori avversari, allenatori e dirigenti. Nonostante il successo che l'aveva baciato, era rimasto il ragazzo di Scalea, di quel borgo e di quella riviera che lo aveva dolcemente cullato. L'avrebbe poi accolto da uomo maturo riservandogli altre meritate soddisfazioni.
Nell'aldilà troverà il fratello Mimmo, calciatore delle giovanili del mio Belvedere, tragicamente scomparso, suo padre Faustino, frequentatore del Club Juve di Belvedere, ed il buon Ottavio Scarcello che lo amò come un figlio negli anni della sua attività calcistica sotto le varie bandiere.
Foto: archivio personale Salvatore Fabiano