di Virginia Murru
Se c’è una caratteristica dell’economia italiana, che si è rivelata stabile e solida nel tempo, che non ha inciampato sulla crisi e la contrazione dell’economia globale, è il ‘made in Italy’, una certificazione internazionale che conferma l’eccellenza dei nostri prodotti all’estero e la garanzia che rappresentano in termini di qualità.
Certamente un freno le misure sull’emergenza sanitaria, lo hanno causato, ma in rapporto ad altri settori produttivi, i prodotti con certificazione ‘MADE IN ITALY’ sono stati più resilienti, hanno resistito molto meglio.
Il vero rischio viene tuttavia dai continui tentativi di contraffazione, adulterazioni e frode a danno di questi prodotti, e a poco servono le protezioni derivanti dai certificati d’origine.
Tra import ed export, c’è un saldo commerciale attivo (riferito al 2015), di ben 122,4 mld. Se fosse così attiva anche la nostra bilancia commerciale (che è una componente della bilancia dei pagamenti, la più importante), l’Italia, in termini economici, avrebbe un profilo alquanto diverso, anche in questo drammatico periodo di pandemia.
Due settori in particolare continuano a ottenere meritati successi nei mercati internazionali, e sono quello alimentare (olio, vini e formaggi in particolare sono al top, dato che hanno ben pochi rivali), e il settore dell’abbigliamento-moda, che tiene alto il marchio d’origine ‘made in Italy’.
Bisognerebbe proprio ripartire dal settore agroalimentare e le altre eccellenze protette, che valorizzano peraltro la sostenibilità ambientale, e soprattutto danno un buon impulso al Pil.
Non dovremmo dimenticare che le più note Case di moda, che impazzano nel mondo con i loro brand di lusso e fast fashion, viaggiano con capitali stranieri, ma del resto, metà delle società quotate in borsa sono in mani straniere.
Con la globalizzazione, che impone inesorabilmente le sue leggi, resistere non sarebbe ‘eroismo’, e in questo senso c’è poco da fare gli sdegnosi, se in fin dei conti, queste aziende hanno necessità del capitale straniero per continuare ad avere il loro spazio nel mercato e il prestigio di cui godono proprio all’estero.
Ai due settori di eccellenza del Made in Italy, si aggiungono anche l’arredo casa e l’automazione meccanica, che danno lustro alle nostre specializzazioni produttive, sia per l’alto profilo tecnologico che per il design.
I risultati positivi sui mercati hanno ripreso un progressivo trend in salita, a partire dal 2009, in epoca di profondo rosso per i conti pubblici italiani; e diciamolo pure, si era in fase di recessione. Il saldo, in quel periodo, si aggirava intorno agli 85 miliardi. Una bella differenza con i dati diffusi recentemente dalla Cgia di Mestre, che dispone di un ufficio studi rivolto alla ricerca di carattere economico e sociale; legata al mondo del Confartigianato e piccole e medie imprese.
Ad essere premiato con questi risultati, è dunque il comparto manifatturiero, entrato in crisi perfino in Cina, che in quest’area non ha rivali.
Secondo i dati diffusi dalla Cgia di Mestre-Venezia, risulta che:
“Dall’analisi dei singoli comparti manifatturieri del “made in Italy” emerge lo straordinario risultato ottenuto dai macchinari (motori, turbine, pompe, compressori, rubinetteria, utensili, apparecchi da sollevamento, forni, bruciatori, etc.).
Certo ora che l’economia del pianeta vive una situazione di estrema incertezza, l’export ha subito flessioni ovunque, la Cina è quella che ha subito meno danni per quel che riguarda la domanda interna, anche perché ha gestito con grande rigore la pandemia e l’impatto sul suo tessuto produttivo.
Ci sono comunque per il nostro paese anche le delusioni, ossia altri prodotti che invece non hanno acceso luci sui conti e la nostra credibilità, ma candele. Parliamo del settore informatico in particolare, del legno-carta, metallurgico, chimica e farmaceutica.
Una spina sul fianco qui sono i tedeschi, che invece, su questi prodotti, sbaragliano la concorrenza. In questo marasma di segni meno, fino al 2019 si salvavano le auto, che mettevano in rilievo dati positivi. A partire dal 2020, con i danni causati dall’emergenza sanitaria, e le misure di contenimento dei contagi, il settore industriale, quello turistico e dei trasporti) sono scivolati in una congiuntura tra le più nere della storia.
Secondo il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, Paolo Zabeo, il ‘made in Italy’, proviene in prevalenza dalle piccole e medie industrie, a questo riguardo osserva:
“Questi prodotti sono autentiche eccellenze e grazie alla flessibilità, all’elevata specializzazione produttiva, alla cultura dell’estetica e buon gusto e al ‘saper fare’ hanno conquistato il mondo, in settori, come quello delle macchine, dove la ricerca, l’innovazione e la qualità del ciclo produttivo, sono requisiti indispensabili per competere sul mercato”.
Agli elogi di Paolo Zabeo, seguono le riflessioni di un altro responsabile della Cgia, ossia Renato Mason, che svolge il ruolo di segretario. Egli mette in rilievo il fatto che, certamente si tratta di indicatori importanti, ma l’Italia ha necessità di smuovere le acque immobili dei consumi interni, che sono sembrati indifferenti perfino ai massicci interventi di QE della BCE, in epoca pre-Covid, volti a dare una spinta energica all’inflazione e a incoraggiare i consumi.
A queste strategie, dovrebbero seguire gli interventi strutturali, sui quali tanto insiste la Commissione europea e la BCE, ma che risultano fondamentali per una spinta propulsiva dell’economia, soprattutto nel versante degli investimenti e dell’occupazione, dati macro che stentano a riprendere quota.
In definitiva, i risultati del ‘made in Italy’, svolgono una funzione di traino, è un motore potente acceso sulla nostra economia, che tuttavia non è propriamente una fuori serie. Il ‘made in Italy’ potrebbe certo essere inteso come un motore ‘turbo’ dell’economia italiana, ma il problema, appunto, è il fatto che questa non è una Ferrari, ma un’utilitaria, e non di rado s’inceppa.
L’Italia del Made in Italy è un mercato allettante, soprattutto nel campo della moda, come già si è detto. Tutte le ‘maison’ di lusso sono state praticamente rilevate da società straniere.
Le cosiddette 5 rotte del Made in Italy, passano dalla Germania, alla Svizzera, Cina, Corea e Singapore. E’ stata Alessandra Lanza, senior partner di Prometeia ( società italiana di consulenza, sviluppo software e ricerca economica per banche, assicurazioni e imprese) a stilare questa top per la destinazione dei prodotti italiani d’eccellenza.
Sostiene Lanza al riguardo: «Mai come in questo periodo le rotte delle esportazioni saranno influenzate dall’andamento della pandemia. Questi Paesi hanno saputo fronteggiare l’emergenza prima o meglio degli altri ed è stato possibile ripristinare i canali di vendita.
Ma il quadro è in continuo mutamento e la cautela è d’obbligo. Proprio per questa ragione le imprese devono avere un atteggiamento tattico, tenendosi pronte a correggere il tiro in caso di necessità, spostandosi verso altri mercati».
L’incertezza è purtroppo l’elemento caratterizzante della pandemia, ma l’avviamento della campagna di vaccinazioni dovrebbe portare una maggiore sicurezza nei prossimi mesi, anche nei mercati e nelle rotte commerciali.
Gli ingranaggi del commercio e del complesso motore che porta movimento nei mercati globali dovrebbero in tempi brevi rimettersi gradualmente in moto, c’è molto ottimismo al riguardo. Nel secondo semestre del corrente anno il Paese dovrebbe migliorare import ed export, di almeno il 20%.
In autunno i primi bilanci di questa attesa ripartenza.