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di Massimo Reina

 

Non fatevi illusioni. Non è censura, è protezione. Non vogliono zittirvi, vogliono salvarvi da voi stessi. Non stanno limitando la vostra libertà di espressione, la stanno difendendo – dalle fake news russe, ovviamente. Se vi sembrano scuse già sentite, è perché lo sono.

Giovedì il Parlamento europeo ha sfoderato il suo solito arsenale retorico per giustificare l’ennesima crociata contro i cattivi del giorno, in questo caso Meta (ex Facebook) e il suo fondatore Mark Zuckerberg. Il motivo? La decisione di porre fine alla collaborazione con i fact-checker negli Stati Uniti e di introdurre un sistema di "note della comunità", simile a quello di X (ex Twitter).

Un fatto gravissimo, hanno tuonato i legislatori europei in una risoluzione non vincolante (che, tradotto dal politichese, significa “non serve a nulla, ma fa scena”). Con 480 voti favorevoli, 58 contrari e 48 astenuti, il Parlamento ha dichiarato di essere "profondamente preoccupato" che questa mossa possa favorire la disinformazione russa.

La guerra del fact-checking

Ma cosa c’è dietro questa polemica? In teoria, l’UE teme che abbandonare i fact-checker significhi aprire le porte a una valanga di propaganda russa sui social. In pratica, sembra che la vera paura sia un'altra: perdere il controllo sulla narrazione.

I fact-checker, spesso presentati come angeli custodi della verità, sono da anni al centro di un dibattito acceso. Chi li controlla? Chi decide cosa è vero e cosa è falso? E soprattutto, come si può essere sicuri che non siano parte essi stessi del problema?

Non è un mistero che molte delle organizzazioni di fact-checking collaborano con governi, aziende e istituzioni, sollevando seri dubbi sulla loro imparzialità. In nome della lotta alla disinformazione, abbiamo visto contenuti censurati, giornalisti silenziati e persino ricerche scientifiche messe al bando. Perché? Perché non erano allineati con la narrazione dominante.

Il Digital Services Act: la scusa perfetta

Ed ecco che entra in scena il Digital Services Act (DSA), la legge europea sulla moderazione dei contenuti online. Una normativa che, sulla carta, mira a garantire trasparenza e responsabilità, ma che nella pratica rischia di trasformarsi in un'arma di controllo senza precedenti.

Il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione e agli Stati membri di applicare rigorosamente il DSA in risposta alle modifiche annunciate da Meta e X. Tradotto: vogliono che la legge venga usata per costringere Zuckerberg e Musk a tornare indietro, reintroducendo sistemi di moderazione più rigidi e collaborazioni con i fact-checker.

Ma attenzione: non si tratta di censura. Non si tratta di controllare cosa potete leggere, scrivere o condividere. Si tratta di proteggervi dalla Russia.

La minaccia russa, l’alibi ideale

La Russia è diventata il capro espiatorio universale per giustificare qualsiasi misura di controllo. Se non applichi il fact-checking, favorisci la propaganda russa. Se permetti una maggiore libertà di espressione, stai aiutando il Cremlino. Se osi mettere in dubbio le versioni ufficiali, sei un burattino di Putin.

E mentre ci raccontano che tutto questo viene fatto per il nostro bene, le piattaforme social si trasformano in campi minati, dove ogni parola deve essere pesata, ogni opinione filtrata, ogni dubbio censurato.

La libertà di espressione? Un optional

Il vero problema è che, in nome della lotta alla disinformazione, stiamo sacrificando pezzo dopo pezzo la nostra libertà di espressione. E lo stiamo facendo senza neanche rendercene conto, anzi, applaudendo chi ci toglie questi diritti come se fossero dei salvatori.

Se davvero vogliamo combattere la disinformazione, il primo passo dovrebbe essere garantire un dibattito aperto e trasparente, dove tutte le voci – anche quelle scomode – possano essere ascoltate. Ma questo richiede fiducia nei cittadini, non un sistema paternalistico che decide cosa possono o non possono leggere.

Non fatevi ingannare dalle parole altisonanti del Parlamento europeo. Dietro le dichiarazioni di “profonda preoccupazione” e “lotta alla disinformazione” si nasconde l’ennesimo tentativo di restringere gli spazi di libertà online.

Zuckerberg e Musk possono piacere o meno, ma la loro decisione di ridurre il controllo dei fact-checker è un passo nella direzione giusta. Perché la verità non ha bisogno di filtri. Ha solo bisogno di libertà. E questa, a quanto pare, fa paura a molti.

 

 

 

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Info Autore
Massimo Reina
Author: Massimo Reina
Biografia:
Giornalista, scrittore e Social Media Editor, è stata una delle firme storiche di Multiplayer.it, ma in vent’anni di attività ha anche diretto il settimanale Il Ponte e scritto per diversi siti, quotidiani e periodici di videogiochi, cinema, società, viaggi e politica. Tra questi Microsoft Italia Tecnologia, Game Arena, Spaziogames, PlayStation Magazine, Kijiji, Movieplayer.it, ANSA, Sportitalia, TuttoJuve e Il Fatto Quotidiano. Adesso che ha la barba più bianca, ascolta e racconta storie, qualche volta lo fa con le parole, altre volte con i video. Collabora con il quotidiano siriano Syria News e il sito BianconeraNews, scrive per alcune testate indipendenti come La Voce agli italiani, e fa parte, tra le altre cose, dell'International Federation of Journalist e di Giornalisti Senza Frontiere. Con quest’ultimo editor internazionale è spesso impegnato in scenari di guerra come inviato, ed ha curato negli ultimi 10 anni una serie di reportage sui conflitti in corso in Siria, Libia, Libano, Iraq e Gaza.
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