di Massimo Reina
Dunque, lo scopriamo oggi: il Presidente degli Stati Uniti, teoricamente l’uomo più potente del mondo, in realtà non firmava i decreti, non prendeva decisioni e, forse, neppure sapeva cosa stesse accadendo nello Studio Ovale. Un caso di autopen-gate, degno di una puntata di House of Cards in salsa geriatrica.
Già ci eravamo accorti che Joe Biden fosse più a suo agio tra i ricordi nebulosi del passato che tra le questioni roventi del presente. Lo avevamo visto perdersi tra frasi a metà, strette di mano col vento e uscite surreali come «God Save the Queen» (peccato fosse già morta da un pezzo). Ma ora il livello è ben più grave: secondo un’inchiesta del New York Post, gran parte dei documenti ufficiali della Casa Bianca riportano la sua firma… solo che non era sua.
Era un’autopen, una di quelle macchine che replicano perfettamente la firma di una persona, utilizzata in passato per questioni di routine o in assenza temporanea del capo dello Stato, ma mai per atti di primaria importanza Il che significa che decreti, ordini esecutivi, provvedimenti cruciali venivano firmati senza che l’inquilino della Casa Bianca ne fosse nemmeno consapevole. E la domanda è una sola: chi governa davvero l’America?
Perché qui il problema non è solo un presidente stanco e smemorato, ma chi – nell’ombra – ha tirato i fili per anni, prendendo decisioni in suo nome senza legittimazione popolare. Chi ha manovrato la marionetta Biden per firmare leggi, accordi, sanzioni, pacchetti di aiuti miliardari? La segretaria? Il capo di gabinetto? Un’Intelligenza Artificiale tarata sul pensiero woke?
Ma soprattutto: a vantaggio di chi?
Perché non illudiamoci: non si tratta di qualche firma su documenti di ordinaria amministrazione, ma di decreti che hanno mandato centinaia di miliardi alle industrie delle armi, alle lobby farmaceutiche, alle guerre per procura che da anni infiammano il mondo (chissà se almeno una volta l’autopen avrà avuto un dubbio sulla moralità di tutto questo).
Non c’è bisogno di complottismi per rendersi conto che qui siamo davanti a una questione di democrazia e legittimità. Il Presidente degli Stati Uniti, nel sistema americano, ha un potere enorme, quasi monarchico. Se non è lui a esercitarlo, chi lo ha fatto per lui?
Il bello (o il grottesco) è che non si tratta nemmeno di un caso isolato. Il copione è lo stesso di altri presidenti-burattini, dove il vero potere non sta nello Studio Ovale, ma nei think tank, nei circoli di potere, nelle stanze delle lobby che nessuno ha mai votato. Il Deep State esiste eccome, ma chi lo denuncia è etichettato come complottista.
Eppure, ci raccontano ancora la favola della democrazia americana. Quella in cui la volontà popolare decide chi governa, quella dove i cittadini scelgono e i leader eseguono. Nel frattempo, però, scopriamo che a firmare le leggi non è neanche l’uomo eletto dal popolo, ma una macchina. Forse è questa la vera essenza della democrazia 2.0: la politica automatizzata, impersonale, gestita da burocrati senza volto che non rispondono a nessuno, che non devono convincere nessun elettore, che non devono neppure prendere una penna in mano.
E ancora c’è chi si ostina a credere che il mondo distopico di Orwell fosse solo fantascienza.