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di  Lorenzo Rossomandi

 

Siamo ormai immersi in una spirale talmente divisiva che non esistono più confronti, ma solo scontri tra destra e sinistra, accompagnati da discussioni sui metodi con cui la sinistra dovrebbe “combattere” la destra e viceversa.

Sarà difficile, ma in questo articolo non voglio considerare questa destra per quello che in realtà è, ovvero un coagulo di populisti e nostalgici che promettono di risolvere i problemi con i modi forti. Vorrei, invece, riferirmi all’eterno scontro tra moderati e progressisti, e quando lo faccio mi torna sempre in mente una domanda:

In una società dove chi vota è tutta la popolazione, senza distinzione di razza, sesso, condizione economica e sociale, perché la parte progressista non prende, come sarebbe logico, il volo?

Se pensiamo al numero dei lavoratori dipendenti aventi diritto di voto, se la loro situazione fosse veramente disastrosa, come alcuni sostengono, perché la parte politica che dovrebbe sostenerli non vince mai a mani basse? Rimane lì, vivacchia: a volte vince, a volte perde, ma sempre con margini ristretti.

Siamo quindi un Paese di destra? Oppure c’è qualcosa a sinistra che non funziona?

Vorrei suggerire un punto di vista un po’ particolare. L’Italia ha una vicinanza tra datore di lavoro e lavoratore dipendente molto più stretta di quanto si pensi.
Mi spiego: la sensazione di un forte contrasto tra impresa e lavoratori è amplificata dai media, che concentrano l’attenzione sulle “grandi” vertenze tra lavoratori e grandi industrie.
Ma la realtà non è solo quella.

I dati del censimento del 2018 indicano che il 45% dei lavoratori dipendenti lavora in aziende con meno di 20 dipendenti; addirittura, il 30% lavora in aziende con fino a nove addetti. Se si considera che il 64% dei lavoratori è occupato nel settore dei servizi, ecco che il quadro può essere letto in modo più chiaro: la lotta di classe, nel nostro Paese, non esiste nella pratica.

Certo, esistono realtà dove la situazione si riassume in vero e proprio sfruttamento del lavoro dipendente, sottopagato e, spessissimo, neanche in regola.
Ma esiste anche un’altra forma di lavoro dipendente, diciamo, meno conflittuale, se non proprio di alleanza.

C’è una parte di lavoratori impiegati nelle piccole imprese che hanno una visione più vicina all’imprenditore che al lavoratore dipendente in senso stretto. Chi lavora in una piccola azienda lo sa bene: il titolare, spesso, è uno di loro. Non li “sfrutta” ma cerca collaborazione ed è il primo a preoccuparsi di mettere chi lavora con lui nelle migliori condizioni per farlo. Si è una squadra, con un capitano, ovvio, ma dove gli obiettivi di crescita sono condivisi, perché il successo dell’azienda garantisce certezze anche ai lavoratori.

Ha senso, in queste situazioni, parlare di partiti di sinistra proletaria? Di lotta di classe? Di fare del miglioramento delle condizioni del lavoratore il cavallo di battaglia di un partito?

A mio avviso, chi si occupa di politica, o chi si avvia a una scelta di collocazione politica, dovrebbe tener presente questo aspetto.
Tenendo fermi i principi fondamentali della Costituzione e della sicurezza sul lavoro, si dovrebbe cercare consenso non più basandosi su una visione bipolare dell’elettorato, ma intercettando le reali esigenze di chi poi dovrà scegliere. La maggior parte delle persone favorirà soluzioni che agevolino l’azienda dove lavorano, perché ciò rappresenta un vantaggio anche per loro.

In definitiva, è evidente che l’approccio politico tradizionale, centrato sullo scontro tra classi o su una visione ideologica rigida, non riesce più a rappresentare adeguatamente le realtà lavorative italiane.

È necessario un impegno politico che dia risposte concrete e sostenibili, allontanandosi dagli slogan facili e avvicinandosi alla realtà di chi ogni giorno costruisce, insieme, il tessuto economico del nostro Paese.

Se non si ragiona in questo senso, continueremo a dare ossigeno a coloro che fanno politica con slogan privi di analisi e approfondimenti, ma ricchi di appeal per chi non riesce a cogliere le reali dinamiche economiche e sociali.

 

 

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Info Autore
LORENZO ROSSOMANDI
Author: LORENZO ROSSOMANDI
Biografia:
Mi chiamo Lorenzo Rossomandi e sono nato a Firenze nel 1967. Imprenditore, amante di musica Jazz (tanto da provare a suonarla); sono sposato, con tre figli. Scrivo sulla mia pagina Facebook racconti e pensieri per assecondare la mia passione per la scrittura, per riflettere e far riflettere. Ho all'attivo tre romanzi sempre riguardanti temi sociali importanti nei quali cerco di denunciare indirettamente i mali sociali, incentivando alla resilienza, allo spirito organizzativo, collaborativo, corporativo.
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