di Massimo Reina
Immaginate la scena: un giovane di 23 anni, armato di coltello, seminando il terrore in una cittadina della tranquilla provincia italiana. Quattro persone accoltellate, ferite, sotto shock. Un Capodanno che per loro non sarà mai più lo stesso, segnato per sempre dal sangue e dalla paura. Arriva un carabiniere, Luciano Masini, comandante della compagnia di Villa Verucchio. È il suo mestiere: proteggere e servire. Interviene, estrae l’arma e spara, uccidendo l’aggressore e mettendo fine alla furia omicida. Un intervento che ha probabilmente evitato altre vittime. Un’azione necessaria, dettata dalla legge e dal buon senso.
Eppure, nel surreale teatro dell’assurdo che è diventato il nostro sistema giudiziario e politico, chi finisce sotto indagine? Il carabiniere. Indagato per eccesso di legittima difesa.
Il paradosso del garantismo a senso unico
Viviamo in un paese dove sembra che le forze dell’ordine debbano camminare su una corda tesa, costantemente sotto la minaccia di un doppio giudizio: quello dei tribunali e quello, spesso ancor più feroce, del tribunale mediatico e politico. E mentre i buonisti della domenica, i radical chic che sorseggiano spritz in salotti lontani dalla realtà, e i politicanti del PD difendono a spada tratta i diritti dei criminali, chi porta una divisa viene abbandonato a se stesso, costretto a giustificare ogni singolo gesto, anche quando salva vite.
La domanda è inevitabile: se un carabiniere non può sparare a un uomo che ha già ferito quattro persone e che rappresenta una minaccia imminente, quando può farlo? Forse solo quando è già steso per terra, accoltellato a sua volta?
La narrativa tossica contro le forze dell’ordine
C’è un problema profondo in questo paese, ed è la narrativa tossica che dipinge le forze dell’ordine come potenziali assassini, carnefici, strumenti di oppressione. Basta poco perché un poliziotto o un carabiniere finisca sul banco degli imputati: una pistola estratta, una reazione considerata “sproporzionata”, un colpo esploso nel momento sbagliato (anche se salva vite).
Chi alimenta questa narrativa? Una parte della magistratura, che sembra godere nel mettere sotto processo chi indossa una divisa. Una parte della politica, che per calcolo elettorale preferisce schierarsi con i criminali piuttosto che difendere chi protegge i cittadini. E poi c’è quella fetta di opinione pubblica ipocrita e distante dalla realtà, pronta a puntare il dito contro gli uomini e le donne che ogni giorno rischiano la vita per un misero stipendio.
Chi accusa le forze dell’ordine vive in un mondo parallelo, dove il crimine è un concetto astratto, lontano, e dove i cattivi sono sempre le “vittime del sistema”. Peccato che nella realtà, quella dove si accoltella e si uccide, i carabinieri come Luciano Masini siano l’unico baluardo tra il caos e la sicurezza.
Qualcuno dirà: “Ma un’indagine è necessaria, è la prassi”. Certo, ma non è questo il punto. Il punto è che questa “prassi” viene costantemente usata per delegittimare chi difende la legge. Ogni volta che un carabiniere finisce sotto inchiesta per aver fatto il suo dovere, si invia un messaggio chiaro: non intervenire, lascia perdere, il rischio non vale la candela.
Il diritto a difendere e a difendersi
Nel frattempo, il cittadino comune, quello che subisce furti, aggressioni, violenze, si vede negare il diritto alla legittima difesa. È lo stesso schema: chi reagisce, che sia un carabiniere o un privato, diventa automaticamente il colpevole. È un ribaltamento della realtà che ha radici profonde, nella nostra cultura giuridica e politica, dove chi delinque viene quasi sempre trattato con più indulgenza di chi si difende.
Il caso di Luciano Masini non è solo una questione giudiziaria, ma il simbolo di un paese senza coraggio, dove chi dovrebbe essere protetto finisce per essere perseguitato. Se non si inverte la rotta, se non si torna a difendere con fermezza il diritto delle forze dell’ordine a servire e proteggere, il rischio è quello di disarmare moralmente chi indossa una divisa. E in quel caso, non ci sarà più nessuno a proteggerci, né dai coltelli né dalla nostra stessa ipocrisia.