di Lorenzo Rossomandi
“No! Con lui no, perché è “Frogio”.
Fu su queste parole che scoppiarono delle fragorose risate.
Nessuno si curava del fatto che il ragazzo non volesse che gli venisse assegnato come compagno di tenda un “frogio”... perché palesemente effemminato.
Fermiamo il racconto...
Avete capito bene.
Mica ci preoccupavamo del fatto che usasse quel termine per definire un compagno di classe. Ci si schiantava dal ridere perché quel termine veniva stroppiato.
Già sento le rotelle celebrali di qualcuno che sta affinando un commento indignato.
Calma...
Fatemi arrivare al punto.
Eravamo crudeli senza saperlo.
Ma non eravamo noi ad esserlo. Era ciò che ci circondava ad indurci ad esserlo. L’ambiente in cui si vive è fondamentale per sviluppare i nostri sentimenti, credenze, sensibilità. Spesso ciò che siamo è frutto di questi condizionamenti.
Ma come si fa a cambiare?
Ripensandoci adesso capisco alcune cose.
Se posso parlare della mia esperienza, direi che la teoria dei “piccoli passi” è stata importante.
Molti di coloro, miei coetanei, che stanno leggendo queste riflessioni, sanno che per invertire molte credenze e usanze ci sono voluti molti anni. Altri, più giovani, hanno trovato una realtà diversa, dove molti piccoli passi erano già stati fatti. Ma anche loro staranno notando delle frizioni, dei tentativi di taluni di riportare le lancette dell’orologio indietro. Chi lo fa sono coloro che di passi in avanti non ne hanno fatti e non ne stanno facendo.
Eppure i piccoli passi sono importanti.
Torniamo al “frogio”. Negli anni ottanta pochissimi pensavano che fosse una cosa di cui vergognarsi chiamare un nostro compagno “buo”, “frocio” o qualsiasi altro termine (in base alla regione di provenienza) per il solo fatto di non avere atteggiamenti da “macho”.
Adesso la maggior parte di coloro che facevano parte dei miei “insensibili” amici, non sono più così insensibili.
Ma cosa è successo? Semplice. Da ragazzetti (parlo degli anni ottanta) oltre ad essere stupidi come quasi tutti i ragazzetti, eravamo immersi in un mondo dove l’essere diverso era motivo di scherno o sfottò.
Quando andava bene.
Se faccio un piccolo sforzo di memoria posso rendermi conto che programmi televisivi, libri, giornali, comici, persone serie davano una visione etero-centrica della società.
Eppure adesso, dopo pochi “lustri”, le cose sono cambiate. Almeno nella comunicazione dei media.
Abbiamo fatto molti piccoli passi.
Sì, esistono ancora i Pillon di turno. Ma sono ormai dei patetici e anacronistici personaggi senza futuro. E dobbiamo essere noi a tenderli sempre più tali.
Ma teniamo conto di una cosa:
il progresso in questi campi non si ottiene con una legge perfetta.
Lo si ottiene facendo passare dei messaggi tutti i giorni che alcuni comportamenti sono sbagliati. Messaggi che possono arrivare da un gruppo rock, un romanzo, un film, una notizia di cronaca, una canzone, una poesia. Ma anche da dei semplici discorsi da bar, nei nostri post sui social o qualunque altra situazione in cui ci troviamo a parlare di queste cose.
Insomma un coro di messaggi che stimolino alla riflessione e portino, prima a smussare gli angoli, poi pian piano a coltivare un senso civico necessario per questa crescita.
Un paio di anni fa era stato presentato il DDL Zan. Non faccio problemi a dire che esso fosse incompleto, non perfetto. Ma alcuni sostenevano che che ci sarebbe stato bisogno di più tempo e maggiore riflessione prima di legiferare su questo argomento.
E hanno vinto gli attendisti. Ed io non sono d’accordo. Ovvero sono d’accordo sul fatto che tutto sia perfettibile, migliorabile, ma non sono d’accordo sul congelare un provvedimento in attesa che il mondo sia pronto a formularlo in maniera ineccepibile.
Se cerchiamo la legge perfetta non la troveremo mai. Semplicemente perché non potremmo mai mettere d’accordo tutte le parti che sentono il bisogno di dire qualcosa sull’argomento. I Pillon sono ancora troppi. E si fanno ancora sentire.
Il DDL Zan non sarà stato perfetto, ma rappresentava un piccolo mattoncino nella costruzione di quel recinto di civiltà all’esterno del quale una persona potesse essere finalmente se stesso.
Perché “all’esterno”?
Semplice, quel recinto fatto di mattoni imperfetti non servirà a creare un rifugio per le minoranze, ma dovrà servire a costruire una prigione per coloro che si ostineranno a non voler che ciascuno di noi possa essere davvero libero di essere quel che sente di essere.
Perché sarebbe giusto cominciare a pensare che siano “loro” la minoranza.