di Massimo Reina
Ventidue anni fa, le porte del carcere di Guantánamo si spalancarono per accogliere i primi detenuti sospettati di terrorismo internazionale. Quel giorno segnò l'inizio di una pagina oscura nella storia dei diritti umani, con uomini ammanettati, incatenati, inginocchiati, incappucciati e vestiti con tute arancioni, simbolo di una detenzione che avrebbe sconvolto le coscienze del mondo.
Il triste anniversario di Guantánamo è l'occasione per riflettere su l'ombra lunga che il carcere ha gettato sulla giustizia e sulla dignità umana. Quasi il 90% delle persone che hanno attraversato quella prigione non è mai stato processato. In questo limbo giuridico, dove il diritto alla difesa sembra un lontano ricordo, le commissioni militari hanno prodotto solo nove condanne, un risultato misero e inaccettabile per quelli che dovrebbero essere processi equi.
Un buco nero delle leggi e dei diritti umani, dove gli Stati Uniti hanno legittimato la detenzione senza accusa né processo, in nome di quella che chiamano la "guerra al terrore". Un concetto che, nel contesto di Guantánamo, è diventato un pretesto per annientare ogni principio di giustizia, per perfezionare il sistema della tortura e per cancellare ogni diritto fondamentale.
Il numero attuale di detenuti a Guantánamo è di 30 persone, e la promessa di chiusura fatta dal premio Nobel per la pace (SIGH) ed ex presidente USA Barack Obama è diventata poco più di carta straccia. Quel simbolico atto di giustizia, che avrebbe dovuto ripristinare l'immagine degli Stati Uniti come difensori dei diritti umani, è rimasto inattuato, relegando Guantánamo a una cicatrice indelebile nella coscienza della nazione.
Oggi, Guantánamo è più che mai una vergogna internazionale, un monito costante sulla fragile linea tra sicurezza nazionale e rispetto dei diritti umani. È urgente che la comunità internazionale continui a esercitare pressione sugli Stati Uniti affinché chiudano Guantánamo, restituendo dignità e giustizia a coloro che sono stati privati di entrambe per così tanto tempo.
Ventidue anni sono troppi per mantenere aperto un luogo che rappresenta la negazione stessa della giustizia. Il tempo è giunto per un cambiamento significativo, un passo deciso verso la chiusura di Guantánamo e il ripristino dei principi che dovrebbero essere alla base di qualsiasi sistema giuridico equo e umano.