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di Virginia Murru

Se non proprio un incubo l’inflazione è come uno spettro errante che continua ad andarsene per i fatti suoi incurante del freno a mano delle Banche Centrali e della loro politica monetaria volta al controllo di questo importante dato macro.

E’ noto che la BCE ha sempre cercato di monitorare la stabilità dei prezzi e i livelli d’inflazione, i quali, per esigenze istituzionali, hanno sempre avuto un orientamento intorno al 2%.

Ma questa non è una congiuntura normale, si sa.

L’impennata dei prezzi e il conseguente aumento di diversi punti percentuali dell’inflazione, secondo analisti ed economisti, è un processo derivante dalla congiuntura in atto, di carattere eccezionale, condizionata dalle misure messe in atto per fronteggiare l’emergenza sanitaria, che ha stravolto la politica economica intrapresa dai governi dell’intero pianeta, Usa compresi.

Ne ha parlato in diverse occasioni la presidente della Bce, Christine Lagarde, e lo ha ribadito questi giorni, in audizione alla Commissione per gli Affari Economici del Parlamento Europeo. Così si è espressa al riguardo:

“Occorre ancora tempo per una stabilizzazione del fenomeno, forse più di quanto si era previsto, a partire dalla seconda metà del prossimo anno il dato relativo all’inflazione seguirà un trend più contenuto, e solo nel medio termine l’obiettivo simmetrico resterà al di sotto del 2%.

Si è trattato di carenza relativa alle materie prime, manodopera e attrezzature, che hanno avuto un peso di rilievo sulla produzione manifatturiera, incidendo sulle prospettive a medio termine.”

Lagarde ha sottolineato che, in particolare, gli attuali prezzi dei futures orientano su un allentamento dei prezzi dell’energia, già a partire dalla metà del prossimo anno. Queste sono le speranze circa la solidità delle redini che controllano il fenomeno inflattivo, le variabili al riguardo sono comunque diverse, e si riflettono sulle dinamiche del mercato e tutto ciò che in questi ultimi due anni vortica intorno a questa realtà.

La presidente della Bce ha inoltre sottolineato che ancora non si sono realizzate le ‘tre condizioni’, secondo la logica della guida prospettica dell’Istituto, pertanto i tassi d’interesse ufficiali resteranno fermi finché non saranno soddisfatti questi criteri, malgrado gli attuali balzi dell’inflazione. E nonostante la spinta inflazionistica, la Bce ha deciso di mantenere lo status quo, con input ancora decisamente espansivo in termini di politica monetaria.

Sono stati confermati 1.850 mld di euro di acquisti ‘Pepp’, volti a contrastare la crisi scatenata dal Covid.

Intanto le impennate dell’inflazione continuano, soprattutto in Germania, paese storicamente avverso al fenomeno. A ottobre il dato è stato da record: 4,5%, ossia una performance mai raggiunta negli ultimi 28 anni. Sono dati che arrivano dall’Istituto di statistica federale di Wiesbaden. Per trovare un picco analogo bisogna andare a ritroso fino al 1993. Da settembre ad ottobre il tasso è aumentato dello 0,4%, era infatti al 4,1%.

C’è da osservare che in ogni caso la Germania non è nuova ai capricci dell’inflazione, ora il tasso ha raggiunto un picco che sta mettendo alla prova l’efficienza della finanza tedesca, ma aumenti più lievi in passato ce ne sono già stati. Nel 2016/17 per esempio. Il tasso, in un contesto europeo abbastanza stabile, aumentò su base annua dello 0,7%, e in quel periodo al timone della Bce c’era Mario Draghi, che i tedeschi della finanza, ma anche economisti e personaggi politici osteggiavano apertamene.

L’aumento dell’inflazione fu infatti attribuito alla gestione della politica monetaria dell’Eurotower, e quindi a Draghi, colpevole di azzardare una politica eccessivamente espansiva, che stava creando, secondo i tedeschi, dinamiche perverse delle quali proprio loro pagavano le spese.

E invece il tempo e i fatti legati alle strategie monetarie della Bce hanno dimostrato che la verità non era da ricercare nelle cause dell’ostilità verso l’operato del suo presidente.

L’elemento più aberrante per quel che riguarda l’inflazione in Europa, è stato l’aumento dei costi energetici, schizzati del 18,6% nel volgere di un anno, su base tendenziale, mentre su quella mensile il tasso d’inflazione è intorno allo 0,5%.

Sono stati confermati da parte del Consiglio Direttivo della Bce 1.850 mld di acquisti di ‘Pepp’ (ovvero Pandemic Emergency Purchase Programme), e si continuerà con questi ritmi fino al prossimo marzo, o comunque fino a quando l’andamento della crisi seguirà un trend che indicherà la fine dell’emergenza.

L’aumento del tasso di inflazione non riguarda solo la Germania e l’Europa in generale, ma in modo ancora più marcato gli States. L’impennata qui ha raggiunto traguardi veramente allarmanti: +6,2% ad ottobre, ossia un livello mai raggiunto negli ultimi 30 anni: il massimo storico.

Lo ha reso noto il 10 novembre scorso il Bureau of Labor Statistics, BLS degli Usa.

L’impennata dei prezzi riguarda il settore alimentare, in particolare le carni, ma anche i costi dell’energia che hanno portato in alto il tasso più di quanto fosse stato previsto.

 

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