L’autoritratto è una pratica artistica in cui soggetto ritratto e soggetto ritraente coincidono.
Questo genere si sviluppò nel mondo della pittura, ma fu impiegato, successivamente, anche da un elevato numero di fotografi. Costoro si misero in discussione, rappresentandosi in atteggiamenti particolari che celavano, dietro a gesti e posizioni, uno spiccato simbolismo.
In questo ambito, non possiamo fare a meno di soffermarci sulla figura di Francesca Woodman.
Francesca Woodman nacque a Denver (Colorado) nel 1958, ma crebbe e si formò fra gli Stati Uniti e l’Italia. Proprio a Roma, all’età di tredici anni, cominciò a ritrarre il suo corpo in bianco e nero. Era solita utilizzare una macchina fotografica Yashica, con lo scopo di collezionare fotografie di piccolo formato che la rappresentassero.
Natura, specchi, pareti e finestre, sono stati gli elementi ricorrenti di un lavoro che ha visto come protagonista l’interezza della sua persona.
Ciò che risulta dai suoi scatti è, quasi sempre, un’ambientazione sinistra e fortemente simbolica.
La Woodman riuscì a pubblicare una sola raccolta fotografica, intitolata Some Disordered Interior Geometries.
Si suicidò a New York nel 1981, a soli ventitré anni.
Praticamente sconosciuta durante la sua breve vita, acquisì una certa fama a partire dal 1986, cinque anni dopo la sua morte.
Oggi è considerata il simbolo del Surrealismo fotografico.
Come afferma Massimo Pascutti, tutor fotografico FIAF:
“Per Francesca Woodman la fotografia era un fatto molto personale; c’era sempre lei al centro del suo mondo e della sua ricerca estetica. Probabilmente non si trattava di narcisismo, piuttosto del desiderio di non sparire per sempre. Lei stessa scriveva che ‘L’unico problema è che il mondo dell’arte ti dimentica se vai via cinque minuti’. Forse andando via per sempre e non per cinque minuti nessuno l’avrebbe più dimenticata”.
Dagli autoritratti della Woodman emerge una certa sintonia fra il corpo umano e gli spazi fisici che lo circondano, anche grazie a prospettive studiate e particolari giochi di luce. Sono senza dubbio temi ricorrenti quelli della percezione della propria persona, la sessualità e la solitudine. Si parla quindi di un’artista che sceglie di spogliarsi, non soltanto degli abiti, in modo da mostrare la nudità del suo corpo, ma anche di tutti i pensieri, stati d’animo e preoccupazioni.
Ciò che ne esce fuori può vantare un’atmosfera sicuramente misteriosa: incontrare una parte di Francesca è un po’ come giocare a una caccia al tesoro, in cui, parti di lei, si nascondono dietro piante, mobili, specchi, trasformandosi in coccetti e metafore.
Pare che la Woodman, durante la sua vita, abbia prodotto circa diecimila negativi e ottocento stampe. Soltanto un centinaio di queste furono esibite o pubblicate, e certamente, si parla di inestimabili capolavori.
Nel 2000, il video sperimentale The Fancy di Elisabeth Subrin, si focalizzò interamente sulla vita e la produzione artistica di Francesca Woodman. Lo stesso fece Scott Willis nel 2011, attraverso il documentario The Woodmans. Il regista ebbe accesso ad alcuni scatti inediti dell’artista, nonché al suo diario personale e video privati o sperimentali. Il lavoro di Willis vinse il premio di Miglior Documentario di New York durante il Tribeca Film Festival.
Fonti:
Juliet Hacking (a cura di), Fotografia. La storia completa, Atlante, Monteveglio, 2013
Francesca Woodman, Some disordered interior geometries, Synapse, 1981
www.fiaf.net/agoradicult/2018/12/09/leffimero-e-leterno-concept-04-francesca- woodman/
www.youmanist.it/categories/fotografia/autoritratto-francesca-woodman