di Paolo Russo
Ogni relazione umana in cui siamo coinvolti ci lascia uno stato d’animo che spesso diventa determinante per la durata e la qualità di un rapporto.
Succede che dentro una relazione si diventi schiavi dei contenuti emotivi che la stessa crea.
Si potrebbe trattare l’argomento appronfondendo il come certe relazioni abbiano una frequenza maggiore rispetto ad altre, aprendo capitoli della psicanalisi sia freudiana che contemporanea. Ma non è questo l’aspetto più saliente di questa mia breve riflessione.
Voglio parlare di ruolo come assunzione di responsabilità per ciò che abbiamo deciso di essere in un dato momento. I ruoli di genitore, di coniuge, di medico, di maestro, di politico descritti da un’etica del senso comune ma del cui esercizio a volte non ci si rende conto: ci si trova nel ruolo senza attribuirselo.
Un’altra riflessione sostanziale legata alla precedente deriva dalla scarsa importanza che nell’educazione viene data all’espressione del proprio stile, della propria identità attraverso la passione per il ruolo che si è deciso di esercitare.
E’ un’attenzione negata e una scelta colpevole perché l’espressione del proprio stile dovrebbe coincidere con l’esercizio del ruolo, cosi’ come con la scelta consapevole dello stesso.
Educare sembra avere più il carattere di riempire, di saturare, quando invece servirebbe favorire l’espressione della propria soggettività per rendere gli individui adulti, capaci di scegliere interrogando la propria coscienza.
Nella nostra società infatti spesso l’etica diventa morale imposta e non arricchimento e disciplina per esercitare un proprio e unico stile all’interno di un ruolo consapevole per questo l'espressione della soggettività andrebbe sempre valorizzata e favorita invece di puntare sull'identificazione con modelli di riferimento che oggettivano l'esercizio di qualsiasi ruolo.