di Alberto Micelotta
Come pochi hanno detto eppure giustamente, non è semplice prendere una posizione o avere un'opinione sulla guerra che si sta consumando in questi ultimi giorni tra Gaza e Israele. Credo che fatichino pure gli analisti geopolitici più ferrati nella materia e gli storici più attenti, anche perché la guerra che si sta consumando in questi giorni dura da decenni.
Da un lato una potenza economica e militare incredibile, con una realtà di gestione dell'organizzazione sociale che in generale quasi tutte le altre nazioni si sognano: basti vedere i risultati rapidi e ottimali raggiunti con la campagna vaccinale contro il Covid-19. Dall'altro lato un territorio "concesso" al popolo che viveva da sempre quelle terre, infettato da movimenti armati riconosciuti come terroristici sia negli accordi internazionali tra molti paesi sia dai metodi che mettono in atto.
Da un lato un popolo per secoli perseguitato e quasi sterminato dal delirio nazifascista, dall'altra una comunità culturalmente assediata in un territorio appendice di uno stato che si è liberato da poco meno di 80anni dall'occupazione straniera colonialista.
Da un lato gli arabi, dall'altro gli israeliani.
Da un lato la Terra Santa e dall'altro la Terra Santa.
Da un lato l'uso delle armi sostenuto dall'occidente e dall'altro l'uso delle armi sostenuto dal modo arabo, da un lato uno Stato libero, giovane, ricco e potente ma con radici antiche e una storia di ferite, dall'altro un'enclave organizzata nella quale si svolgono elezioni regolari e dove, sebbene in condizioni di povertà generale, la vita ha la possibilità di svolgersi secondo parametri che potrebbero, in futuro e magari con la benedizione e la progettualità della comunità internazionale, promettere crescita e benessere diffusi.
Non è affatto semplice prendere una posizione o avere un'opinione sulla guerra che si sta consumando in questi ultimi giorni tra Gaza e Israele. E a dire il vero, a meno di non avere interessi economici presenti o futuri in quei territori, con quelle comunità non è neppure dovuto. Sì, perché diciamoci la verità, cosa ci importa di quella gente, cosa ci interessa dei bambini che muoiono, della paura tra i civili e delle vittime tra i militari o "guerriglieri paramilitari" poco importa. Sono così lontani.
Sono lontani, come la Colombia o il Myanmar, l'Ucraina o la Siria, le Filippine o il Burundi e la lista, purtroppo, è dolorosamente lunga.
Eppure dovrebbe interessarci l'unica posizione possibile.
Una posizione dettata dai principi delle varie fedi nelle quali si dice di credere o anche solo più semplicemente dalla laica consapevolezza che dovremmo aver generato davanti ai disastri ambientali che stanno dimostrando che il nostro pianeta è unico e, ahinoi, molto malato e davanti a quanto la pandemia ci ha mostrato essere fragili, miseri, impotenti, insignificanti eppure ciascuno unico e insostituibile.
La guerra è una bestemmia. Contro chiunque vogliate credere: sia un dio o i diritti umani. La guerra è sempre una bestemmia ma lo è ancora di più se sparge il sangue degli innocenti (cioè sempre).
Le guerre non sono mai state la soluzione se non per i potenti, per gli investitori, per il mercato. Mai per chi è veramente lo Stato, mai per le popolazioni.
La verità è che i capi palestinesi e quelli israeliani bestemmiano la propria terra - santa e contesa - con parole di piombo, di sangue e di morte, parlate da pochi bramosi di potere e ricchezza e scagliate indiscriminatamente contro chiunque.
Così come avviene ovunque si scelga la guerra come "risoluzione" di un conflitto.
Da italiano mi ricordo che, costituzionalmente, questa scelta la "ripudio" e da essere umano mi sento nel bisogno di prendere una posizione, non una parte: il bisogno di dire "basta".