di Massimo Reina
Avete presente i giudici che sventolano la Costituzione come fosse una sciarpa da stadio, con quel piglio da ribelli del sistema? Ecco, sono gli stessi che da anni voltano le spalle al popolo italiano, ma oggi si stracciano le vesti perché qualcuno ha osato proporre una riforma che spezzi il loro giocattolino preferito: il sistema attuale, un condominio dove giudici e pubblici ministeri si passano le chiavi di casa, si fanno favori e, quando serve, si proteggono a vicenda.
La riforma sulla separazione delle carriere li ha fatti impazzire. Perché? Perché mette fine a quella comoda ambiguità tra accusa e giudizio, dove il giudice, che dovrebbe essere imparziale, magari è stato fino a ieri collega di corridoio del pubblico ministero. Il tutto condito da un CSM unico, che decide chi fa carriera e chi no, e che – guarda caso – è dominato dalle stesse correnti politiche che si fingono "indipendenti".
Giudici e PM: separati alla nascita? Magari!
Oggi in Italia giudici e pubblici ministeri sono come gemelli siamesi: entrano con lo stesso concorso, fanno lo stesso percorso e rispondono allo stesso padrone, il CSM. Questo crea un sistema assurdo dove chi accusa e chi giudica spesso giocano nella stessa squadra. Non ci credete? Facciamo un esempio semplice.
Il PM vuole arrestare qualcuno. A chi chiede il via libera? Al giudice. E chi è quel giudice? Un suo collega, magari della stessa corrente. Che sorpresa se il giudice approva tutte le richieste del PM, no? È come giocare a poker con un mazzo truccato.
La riforma propone una cosa tanto semplice quanto rivoluzionaria: separare i percorsi di carriera. Giudici da una parte, PM dall’altra, ognuno con il suo concorso, il suo organo di autogoverno (due CSM separati) e la sua autonomia. Tradotto: il giudice torna a essere un arbitro, non un compagno di squadra del PM.
Il CSM: il grande club esclusivo
Sapete come si entra oggi nel Consiglio Superiore della Magistratura, il santuario dove si decide tutto sulle carriere dei magistrati? Devi raccogliere 25-50 firme dei tuoi colleghi. Sembra facile? Non lo è. In realtà, senza il supporto di una corrente politica – quelle simpatiche associazioni che trasformano i magistrati in leader di partito – non vai da nessuna parte.
La riforma dice basta a questo teatrino: niente più giochi di potere interni, niente più correnti politiche che dominano il sistema. Tutto avverrà per sorteggio. Ora ditemi: chi potrebbe essere contrario a una regola così semplice e trasparente? Forse solo chi vive di quei giochi di potere.
Magistrati indisciplinati? Basta pacche sulle spalle
E poi c’è la questione delle violazioni disciplinari. Perché, sì, anche i magistrati sbagliano. La differenza è che quando sbagliano loro, difficilmente pagano. Oggi è il CSM a giudicarli. E, come succede nelle migliori famiglie, le punizioni sono rare e leggere.
Un giudice dimentica un bambino in carcere oltre i termini? “Succede, poverino, aveva problemi familiari.” Un altro guida ubriaco? “Non è degno di nota.” Insomma, la disciplina per i magistrati è una barzelletta.
La riforma propone una soluzione drastica: creare un’Alta Corte Disciplinare composta non solo da magistrati, ma anche da avvocati e professori universitari estratti a sorte. Una commissione che finalmente giudicherà i magistrati in modo serio e imparziale.
Perché tanto terrore?
Le toghe si agitano, parlano di “attacco all’indipendenza della magistratura”. Ma di quale indipendenza stiamo parlando? Quella di un sistema che da anni funziona come un club esclusivo, dove pochi decidono per tutti? Dove le correnti politiche manipolano carriere e sentenze?
Questa riforma non è un attacco alla magistratura, è un attacco al privilegio. È un tentativo di restituire credibilità a un sistema che da troppo tempo ha perso la fiducia dei cittadini. Chi si oppone a questa riforma lo fa per due motivi: o perché ha paura di perdere il potere che le correnti garantiscono, o perché non vuole un sistema più equo e trasparente. In entrambi i casi, non lo fa certo per difendere i cittadini.