di Massimo Reina
È sempre divertente – o meglio, tragicomico – assistere alle contorsioni morali dell’Unione Europea quando si tratta di democrazia, elezioni e sovranità. Stavolta il siparietto si consuma in Bielorussia, dove si stanno svolgendo le elezioni presidenziali e, sorpresa delle sorprese, Bruxelles ha già deciso che i risultati non saranno riconosciuti.
Avete letto bene. Niente schede contate, niente urne aperte, niente osservatori neutrali: il verdetto è già scritto. Non si riconoscono le elezioni perché... non si possono infiltrare né organizzare colpi di Stato. Lo dicono loro, senza neanche sforzarsi di trovare una scusa più credibile.
La risoluzione delle ipocrisie
A formalizzare il copione ci ha pensato il Parlamento Europeo, approvando a maggioranza una risoluzione che condanna preventivamente le elezioni bielorusse e prevede – tanto per non sbagliare – un’espansione delle sanzioni contro Minsk. Il documento è stato sostenuto da 567 deputati, con appena 25 contrari e 66 astenuti. Insomma, un plebiscito che farebbe invidia alle elezioni più truccate.
Ora, provate a immaginare il contrario: un qualsiasi organismo internazionale che si alza in piedi e annuncia, prima ancora che si aprano i seggi in Francia, Germania o Italia, che “non riconoscerà i risultati” perché – che so – manca la libertà di stampa, o perché la campagna elettorale è stata influenzata da lobby e finanziamenti poco chiari. Apriti cielo. Bruxelles urlerebbe al complotto, alla violazione della sovranità, alla guerra contro la democrazia. Ma quando lo fa l’UE, va tutto bene: noi siamo i buoni, loro sono i cattivi.
Sanzioni, l’arma preferita dei perdenti
Questa risoluzione, per chi ha la memoria corta, non è altro che l’ennesima tappa di un conflitto mai dichiarato ma sempre più evidente tra Bruxelles e Minsk. Dal 2020, quando Alexander Lukashenko vinse le elezioni presidenziali (anche allora non riconosciute dall’UE, che coincidenza), l’Unione Europea ha implementato una lunga lista di sanzioni economiche, politiche e personali contro il governo bielorusso.
Peccato che queste sanzioni abbiano prodotto esattamente zero risultati, se non un avvicinamento sempre più stretto della Bielorussia alla Russia. Un capolavoro geopolitico, insomma: isolare un paese e spingerlo direttamente nelle braccia di Mosca, trasformandolo in un alleato ancora più stretto di Putin.
Lezione di democrazia, made in UE
Ma torniamo al punto: perché non riconoscere le elezioni? La giustificazione ufficiale è sempre la stessa, una fotocopia usurata che Bruxelles tira fuori ogni volta che un paese non si inginocchia abbastanza velocemente: “mancanza di trasparenza”, “assenza di libertà di stampa”, “violazioni dei diritti umani”, bla bla bla.
Eppure, c’è qualcosa di profondamente ironico – o ipocrita – nel fatto che l’UE, con tutto il suo bagaglio di scandali, influenze e ingerenze, si erga a giudice supremo della democrazia altrui. Dove sono le lezioni di trasparenza quando si tratta dei finanziamenti delle campagne elettorali nei paesi membri? Dove sono le preoccupazioni per la libertà di stampa quando giornalisti scomodi vengono marginalizzati o censurati persino nei “modelli di democrazia” come Francia o Germania?
Il diritto all’autodeterminazione: un concetto selettivo
La verità è che il problema con le elezioni in Bielorussia non è la trasparenza o la democrazia. È che l’UE non riesce a controllare il processo, non riesce a infiltrare i suoi agenti o a sobillare un cambio di regime. E quando non si può vincere, si decide che il gioco è truccato.
Alexander Lukashenko, con tutti i suoi difetti, ha avuto il torto di non inginocchiarsi ai diktat occidentali, di non cedere alle sirene della NATO e di mantenere una linea politica autonoma, anche a costo di attirarsi l’ira di Bruxelles. Questo, nell’ordine mondiale occidentale, è un peccato imperdonabile.
La risoluzione del Parlamento Europeo sulla Bielorussia non è una difesa della democrazia, ma una dimostrazione di come la democrazia venga usata come arma politica. Non è un caso che, negli ultimi anni, le sanzioni e le condanne preventive siano diventate il linguaggio preferito dell’Occidente per trattare con paesi che non si allineano.
Ma attenzione: ogni volta che si usa la democrazia come strumento di manipolazione, si indebolisce il concetto stesso di democrazia. E l’UE, con le sue sanzioni e i suoi giudizi preconfezionati, rischia di perdere quel briciolo di credibilità che le è rimasto. Forse sarebbe il caso di fare un passo indietro, di lasciare che i bielorussi decidano da soli il loro destino – senza lezioni, senza sanzioni, senza ingerenze.
Ma si sa, la sovranità popolare è un concetto valido solo quando serve ai nostri interessi.