di Paolo Russo
Il datore può vietare ai propri dipendenti di indossare ogni simbolo che richiami la loro appartenenza politica, ideale e religiosa, il divieto «può essere giustificato dal bisogno del datore di lavoro di presentarsi in modo neutrale nei confronti dei clienti o di prevenire conflitti sociali». Così si è pronunciata la Corte di Giustizia dell’Unione Europea giovedì 15 luglio.
Il provvedimento, secondo la Corte, deve prendere in esame caso per caso la situazione del Paese in cui ci si trova e i “bisogni reali” del datore di lavoro.
Si conferma quindi una precedente decisione della Corte, del 2017, che permette ai datori di lavoro di chiedere ai propri dipendenti di vestirsi in modo “neutro”. Una decisione che ha creato non poche polemiche soprattutto per i suoi effetti sulla cultura islamica abbracciata dalle donne musulmane.
Una delle voci più critiche nei confronti della pronunciazione della Corte è quella di Nibras Breigheche, tra i fondatori dell’Associazione islamica degli Imam e delle Guide religiose e figlia del presidente della Comunità islamica del Trentino. «Se parliamo di simboli religiosi» dice la Breigheche «c’è un errore terminologico alla base di questa decisione. Il velo non è un simbolo religioso, anche se spesso viene equiparato alla croce cristiana che qualcuno porta al collo. È una pratica religiosa che dev’essere anzitutto basata su una scelta della persona. Le pratiche religiose devono essere libere: non possono essere imposte, ma neanche vietate. Quindi non posso imporre a nessuno di portare il velo; ma non posso neanche imporre a nessuno di toglierlo. È scritto nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma è sancito anche dalla Costituzione italiana, che vieta solo le pratiche contrarie al buon costume. Non mi pare però che portare qualche centimetro di stoffa sulla testa, che si chiami velo o in qualsiasi altro modo, rappresenti una pratica contraria al buon costume».
Secondo Breigheche, le donne musulmane subiranno una discriminazione sociale a seguito della decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. “Saranno loro, che già soffrono di percentuali di disoccupazione più elevate, a pagare il prezzo di questa sentenza. Una decisione di questo tipo non fa altro che metterle in difficoltà ancora di più”.
Nibras Breigheche