di Massimo Reina
La storia di Ahmad Manasra dovrebbe farci rabbrividire, ma sembra che sia passata sotto il radar del mondo che conta. Forse perché è palestinese, forse perché è scomodo parlarne. Ma non possiamo voltare la testa dall'altra parte di fronte a un ragazzo che, oggi ventenne, sta scontando una pena che non gli appartiene, incarcerato a 13 anni e torturato fino a perdere se stesso.
Solo un bambino
Era il 2015 quando Ahmad, allora solo un bambino, venne arrestato dalle autorità israeliane. Durante gli interrogatori, fu sottoposto a maltrattamenti psicologici e fisici, minacciato, deriso e umiliato. Tutto questo senza che un avvocato o un genitore fosse presente, come prevederebbe il diritto internazionale, persino in situazioni di conflitto. Ahmad, terrorizzato e incapace di comprendere appieno cosa stesse accadendo, fu trattato come il peggior nemico dello Stato.
Le immagini dell'interrogatorio, diffuse successivamente, mostrano un ragazzino spaventato, confuso e sopraffatto dalla brutalità di un sistema che non conosce pietà. Ma quella, purtroppo, era solo l’inizio di un incubo che dura ancora oggi.
Da allora Ahmad è stato tenuto in isolamento per lunghi periodi, una pratica considerata tortura dalla maggior parte delle organizzazioni internazionali per i diritti umani, soprattutto quando si parla di minori.
Cosa siamo disposti ad accettare come società globale?
Non è difficile immaginare cosa significhi crescere in una cella, privato del contatto umano, degli stimoli, persino della speranza. Il risultato? Una diagnosi di schizofrenia, allucinazioni psicotiche, depressione grave e pensieri suicidi. Ahmad è stato spezzato, non solo nel corpo ma anche nella mente.
Ma la cosa più inquietante è che tutto questo è accaduto – e continua ad accadere – sotto gli occhi indifferenti di chi dovrebbe difendere i diritti umani. Ahmad non è un caso isolato, ma un simbolo di un sistema che tratta i bambini palestinesi come nemici da annientare, piuttosto che come minori da proteggere.
Secondo Amnesty International, circa 170 palestinesi detenuti oggi da Israele furono arrestati quando erano ancora bambini. Le accuse variano, ma il copione è sempre lo stesso: arresti arbitrari, torture fisiche e psicologiche, processi farsa e detenzioni prolungate. Ahmad Manasra è solo uno dei tanti, ma la sua storia è emblematica perché rappresenta un catalogo infinito di ingiustizie.
Se questa è la democcrazia occidentale...
La domanda è: fino a quando tollereremo tutto questo? Perché non si tratta solo di Ahmad, né solo della Palestina. Si tratta di cosa siamo disposti ad accettare come società globale. Ogni giorno che Ahmad passa in carcere è un giorno in cui falliamo tutti. È un giorno in cui il diritto internazionale viene calpestato, in cui l’infanzia viene derubata, in cui l’ingiustizia trionfa.
Eppure, Ahmad avrebbe dovuto essere rilasciato molto tempo fa. Anche la sua salute mentale, ormai compromessa, non è bastata per convincere le autorità israeliane a liberarlo. E così, mentre lui lotta contro i suoi demoni in una cella fredda e isolata, il mondo guarda altrove, più interessato a preservare equilibri politici che a difendere i diritti fondamentali.
Ci piace pensare di vivere in un mondo giusto, ma la verità è che il caso di Ahmad Manasra dimostra il contrario. E finché la sua storia – e quella di tanti altri come lui – resterà nell’ombra, il nostro silenzio sarà il più grande tradimento della giustizia.