di Annalisa Martino
Mai come quest’anno le piazze del 25 aprile hanno lanciato un inconfondibile urlo di pace. E mai come quest’anno il principio ispiratore di questa partecipazione massiccia è stato l’articolo 11 della Costituzione. In particolare il rifiuto netto di un’interpretazione che non va proprio giù a quanti hanno da sempre difeso il 25 aprile e il suo significato politico e morale. Si tratta del rifiuto di una nuova cifra interpretativa di questo articolo, che pone l’accento sull’eccezione, sulla necessità, cioè, della guerra di difesa, e che oscura la tesi principale, ovvero il ripudio della guerra. Gli italiani non vogliono la guerra e lo esprimono in mille modi, anche se stampa e politica sembrano non rispecchiare il comune sentire della gente.
In realtà, c’è tutto un fiorire di contraddizioni e di ambiguità che ha trovato nelle contestazioni del 25 aprile il suo momento di massima espressione. Le dispute politico-culturali sulla guerra in Ucraina avevano già fatto saltare degli schemi tradizionali di categorie e di valori afferenti alla destra e alla sinistra. Certo, la sinistra è da sempre spaccata e, in questa circostanza, ha espresso la sua naturale attitudine alla frammentazione. Ci siamo trovati di fronte a una sinistra che sostiene con determinazione l’invio di armi all’Ucraina, in una guerra che tutti sappiamo impari e che sta comportando, da una parte (quella più debole) un inaccettabile sacrifico umano. C’è un’altra sinistra, contraria a questo invio e all’aumento delle spese militari, che esorta a considerare la priorità di non venire meno agli obblighi di solidarietà sociale che impone la Costituzione.
E poi c’è l’ANPI che, a causa del suo rifiuto di militarizzazione delle coscienze nel blocco occidentale, viene screditata e tacciata di propaganda filorussa. Proprio da chi fino a poco tempo fa per convenienza ha assecondato le malefatte di Putin.
E che dire di tutti quegli abolizionisti da sempre impegnati a cancellare la festa del 25 aprile per riempirla di un nuovo significato fino ad allargarla alla guerra di liberazione dell’Ucraina? Un significato forse più in linea con i tempi ma non altrettanto pertinente con il significato intrinseco della festa. La lotta intrapresa dai partigiani era, sì, una lotta patriottica di liberazione nazionale contro i tedeschi invasori, ma non era solo questo. Era una guerra di classe: di disagiati, operai e contadini contro padroni che avevano appoggiato il fascismo per mantenere i loro privilegi. Era una guerra civile contro Italiani che erano stati attivamente o passivamente fascisti. È stata una resa dei conti degli Italiani che imbracciarono le armi e scelsero la via della montagna, già sopraffatti da una guerra mondiale e non di certo pronti ad avviarla.
Leggere il 25 aprile in una chiave meramente nazionalistica, in difesa di un’operazione di armamento che protegga e garantisca la sopravvivenza di civili, significa mistificare la realtà, stravolgere il ricordo di un’esperienza e tradirne lo spirito vitale e profondo. È come se si volesse prendere la Resistenza e assumerla come contenitore indifferenziato di istanze patriottiche e nazionalistiche, di guerre civili o guerre sante, di popoli, di milizie e, paradossalmente, persino degli uomini del Battaglione Azov. E, di questo passo, anche dei corpi armati che combattono in difesa delle minoranze filorusse del Donbass!
La Resistenza italiana ha una sua peculiarità. I suoi fondamenti sono messi fortemente in discussione tra revisionismo, tendenza ad annacquare il valore dell’antifascismo e un’interpretazione sempre più asservita a precise scelte politiche di stravolgimento della Costituzione. Le marce di questi giorni lamentano questo rovesciamento e, chiedendo pace a viva voce, paventano una dimensione di pericolo, che va oltre i confini dell’Ucraina e mette ad estremo rischio le sorti dell’intero pianeta.
Carlo Rosselli scriveva: “Siamo antifascisti perché la nostra patria non si misura a frontiere e cannoni, ma coincide col nostro mondo morale e con la patria di tutti gli uomini liberi.” Ecco: è forse questo il significato più vero e più drammaticamente attuale del 25 aprile. Che abbiamo l’obbligo di non dimenticare.
Biografia: Annalisa Martino: nata a Cosenza 03/06/1959; residente a Rosate (MI). Laurea in Filosofia Università degli Studi della Calabria. Docente di Lettere Scuola secondaria Primo grado. Esperienze giornalistiche: Collaborazione rivista politica attualità Luminosi giorni, Giornale online Casinistanews; Mensile Rosate Notizie. Esperienze letterarie: pubblicazione due romanzi,”Criada” ed. Astragalo, “A due voci” (ed. Leonida)