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di Paola Cecchini 

Prendete un violista famoso o meglio ‘la primissima Viola della Scala’ come l’ha definito l’illustre direttore d’orchestra Zubin Metha, generoso e determinato nelle battaglie sociali che ha portato avanti in tempo di pandemia tanto che il mensile ‘Classic Voice’ l’ha inserito - accanto al Presidente del Festival di Salisburgo, al Sovrintendente del Teatro ‘La Fenice’, alla coppia che guida il ‘Maggio Musicale Fiorentino’ Alexander Pereira o stesso Mehta, nonché ai direttori Riccardo Muti e Antonio Pappano - tra i dieci personaggi più rilevanti del mondo musicale 2020: Danilo Rossi

-Unitevi un mago del cymbalon, tipico strumento dell'Europa Centro-Orientale (diffuso soprattutto in Ucraina, Bielorussia, Ungheria e Slovacchia) il cui suono (ottenuto pizzicando le corde con bacchette ricoperte di cotone) è una via di mezzo tra quello di un pianoforte e di una chitarra: Marian Serban

-aggiungete un fisarmonicista che suona il tango in un modo per noi inconsueto: Albert Florian Mihai

-aggregatevi le note profonde e misteriose del contrabbasso di Nicolae Petre, nato come i colleghi su-menzionati in Romania da famiglie di musicisti rom, tutti carichi di esperienze musicali accumulate nelle più disparate situazioni e confluite nel quartetto Taraf de Metropulitana e nell’Orchestra di Piazza Vittorio, diventando membri stabili della Moni Ovadia Stage Orchestra.

Agitate il tutto e sbattete forte più volte. Il cocktail che ne risulta si chiama ‘New Gipsy Project’: ho avuto modo di assaporarlo seduta al Teatro Pavarotti-Freni di Modena il 10 maggio.


‘Il progetto nasce dall’idea di unire la tradizione musicale ‘zingara’ con il repertorio dei grandi compositori romantici e contemporanei che si sono ispirati alla musica folk e tradizionale gitana. Grazie alla curiosità di compositori celebri e non che hanno attinto a piene mani dalle melodie balcaniche slave e rumene, oggi è possibile ascoltare capolavori che hanno valicato i confini degli Stati diventando patrimonio collettivo’- mi ha spiegato Rossi.

‘La presenza della musica Rom (è questo il termine appropriato) in Europa è molto antica: già verso il 1430 un’orchestra ‘zingara’ suonava alla corte di Sigismondo di Lussemburgo, re d’Ungheria, Imperatore del Sacro Romano Impero (1433-1437)’ - mi racconta il mio amico Santino Spinelli, musicista, autore del libro ‘Le verità negate’, dal 2001 rappresentante per l'Italia al Parlamento dell'Unione Internazionale Romaní (IRU), organizzazione non governativa con sede a Praga, attiva nel campo dei diritti dei popoli Rom a cui è stato garantito lo status consultivo presso alcuni organi delle Nazioni Unite.

Il modo inconfondibile di fare musica delle comunità romanès, con i loro ritmi, le melodie, le strutture modali e della strumentazione, oltre a canti e danze inusuali, ha effettivamente influenzato - fin dal loro arrivo in Europa dall’India settentrionale- un’infinità di musicisti.

Tanto per citarne alcuni…

-Franz Schubert : Divertimento all’ungherese per pianoforte a quattro mani e Quintetto op.114 della Trota (entrambi del 1824)

-Ludwig van Beethoven: Rondò op. 129 alla ungherese, quasi un capriccio (1794)

-Franz Liszt: Rapsodie ungheresi (1846-1853 e 1882-1885), oltre ad un saggio in cui sostiene che ‘l’intera musica tradizionale dell’Ungheria si deve agli zingari, dotati di un senso musicale di incredibile profondità, certamente sconosciuto a qualunque altro popolo’ (1859)

-Charles Camille Saint Saëns : Dance of The Gipsy girl (1900)

-Edourt Ialo: Sinfonia Spagnola op 21 (1874)

-Pablo de Sarasate: Danze spagnole(1882)

-Marcel Ravel: Tzigane per violino e pianoforte, poi trascritta per violino e orchestra ( 1924)

-Claude Debussy: Danse bohémienne (1880) e Trio in sol (1880)

 

Preparandomi a questo concerto ho imparato

-che le Danze Slave e le sette Melodie tzigane op. 55 di Antonín Dvořák (1841-1904) - considerato dopo Smetana il maggiore compositore boemo ed uno dei primi compositori cechi ad ottenere il riconoscimento mondiale - sono state direttamente ispirate dalla musica tradizionale ceca, morava ed altra musica slava tra cui lo skočná, il furioso boemo, la sousedská, la špacirka, lo slovacco odzemek, il Kolo jugoslavo, nonché a forme di canzoni popolari dei popoli slavi in generale, inclusa la dumka ucraina;

-ho imparato che Béla Bartók (1881-1945) è stato un ricercatore appassionato e instancabile di temi e materiale folcloristico autentico, sia per riposarsi dalle fatiche di della cosiddetta "musica colta", sia molto probabilmente per rinfrescare la propria fonte di ispirazione.

Tra le Danze popolari rumene composte dal Musicista (1915) elaborando musiche originarie della Transilvania, è particolarmente famosa la n.5, utilizzata frequentemente nell'ambito cinematografico, e più precisamente:

-nel film ‘Il grande dittatore’ di Charlie Chaplin, durante la scena in cui il protagonista (barbiere) rade un cliente a tempo di musica;

-nel film ‘Dracula morto e contento’ di Mel Brooks durante la scena del ballo tra il conte Vlad e Mina;

-nell’episodio n.12 della stagione 22 dei Simpson, allorché viene suonata di sottofondo mentre Bart studia per guadagnarsi un premio dal padre;

-ho imparato che Johannes Brahms (1833-1897) fu sicuramente il compositore che ha dimostrato di possedere maggior passione e spontaneità nel trattare la musica folcloristica magiara, come dimostrano le 21 Danze Ungheresi per pianoforte a quattro mani, composte a diciannove anni agli inizi della sua carriera musicale (1852). Il fascino che tale musica esercitava su Brahms si rileva non tanto dalla enorme quantità di pubblicazioni da lui acquistate (attualmente conservate negli archivi di Vienna presso la Gesellschaft der Musikfreunde), ma soprattutto da quel tocco magiaro che affiora sempre nei suoi lavori da camera. Molti commentatori affermano che temi, ritmi particolari e soluzioni ungheresi divennero parte integrante del suo linguaggio.

 

Ho imparato infine che le Rapsodie rumene (1901) furono le composizioni più popolari di George Enescu (1881-1955), autore di una larga produzione di musica sinfonica e da camera, oltre che dell'opera Edipo.

Violinista, pianista, direttore d'orchestra e compositore, Enescu suonava un violino costruito da Bartolomeo Giuseppe Guarneri ‘del Gesù’ del 1725 detto ‘la cattedrale’ per il suono ricco ed ampio : oggi lo strumento, oltre al nome originale, porta anche il nome del Compositore rumeno definito da più parti il più grande fenomeno musicale dai tempi di Mozart.

Particolare la sua vita : nacque allorché tutti i suoi sette fratelli erano già morti; scrisse la prima composizione dal titolo Pămînt românesc (Terra rumena) ‘a cinque anni e un quarto’; all'età di sette anni divenne lo studente più giovane mai ammesso al Conservatorio di Vienna ed il primo non austriaco; a 10 anni tenne un concerto privato alla Corte di Vienna, alla presenza dell’Imperatore Francesco Giuseppe; si diplomò all'età di 12 anni e quattro anni più tardi presentò a Parigi la sua prima opera matura, Poema Românå, suonata dall’Orchestra Colonne, al tempo una delle più prestigiose al mondo, e diretta da Edouard Colonne.


Mi gira la testa: è piena di note, dati, parole…

‘New Gipsy Project’ é indubbiamente uno spettacolo diverso dai soliti: è proprio vero che le differenze culturali arricchiscono e moltiplicano le esperienze artistiche dei diversi componenti di una band!

Il concerto è stato molto interessante per me che apprezzo in particolare questo genere musicale ma è stato altresì molto apprezzato dal pubblico che ha applaudito lungamente dopo ogni brano (un pot pourri delle melodie sopra citate) ma soprattutto dopo i tre bis generosamente concessi dai musicisti ma di cui il pubblico non era pago.

Il ‘progetto’ andrà avanti: seguiranno altri concerti, sono sicura. Voglio approfondire la questione. Ci risentiremo.

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Foto: Paola Cecchini con i musicisti 

Foto: Teatro 'Pavarotti-Freni' di Modena

Foto: Statua Pavarotti

 

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Info Autore
PAOLA CECCHINI
Author: PAOLA CECCHINI
Biografia:
Laureata in giurisprudenza, giornalista professionista, sono nata e risiedo a Pesaro. Mi occupo prevalentemente di musica, arte e migrazioni. Collaboro con diversi giornali online e numerose testate italiane all’estero tra cui Il Messaggero-italo Peruviano, Punto di incontro (Messico), La Gazzetta Italo-Brasiliana, L’Eco Italiano (Argentina), il Corriere Canadese, La Voce di New York. Ho pubblicato un libro come traduttrice e sette come autrice, presentandoli nei più importanti Istituti Italiani di Cultura in Europa e Sud America. Tre di questi riguardano l’emigrazione italiana nel mondo: ‘Fumo nero’ (la vita degli italiani nelle miniere di carbone belghe), Terra promessa-il sogno argentino’ (la storia degli italiani e marchigiani nel Paese sudamericano), ‘All’ombra di un sogno’ (viaggio nell’emigrazione italiana in Brasile). Per quanto concerne l’emigrazione, ho ricevuto due premi letterari nazionali (2007 e 2013) ed uno giornalistico (Giuseppe ‘Bepi’ Franzon), indetto dalla FNSI del Veneto (2021).
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