L’oro, il petrolio e la NATO: le email segrete di Clinton smascherano il crimine coloniale del XXI secolo contro la Libia
di Massimo Reina
La chiamavano “intervento umanitario”. L’ennesima bugia con l’odore del napalm. Nel 2011, mentre Sarkozy bombardava la Libia e Hillary Clinton rideva in diretta alla notizia della morte di Gheddafi (“We came, we saw, he died” – ridete, prego), l’Occidente si spacciava per liberatore. In realtà, era l’ennesimo ladro con la maschera del soccorritore.
Gheddafi voleva liberare l’Africa dal franco CFA
Poi arrivarono le email trapelate di Hillary Clinton. Quasi 3.000, rese pubbliche nel 2015, dove emerge ciò che chiunque non fosse cieco (o stipendiato da qualche think tank atlantista) sospettava già: la NATO ha fatto fuori Gheddafi non per salvare vite umane, ma per salvare il dominio coloniale in Africa.
Uno dei cablogrammi – firmato Sidney Blumenthal, consigliere personale della Clinton – parlava chiaro: Gheddafi aveva accumulato 143 tonnellate d’oro e un tesoro equivalente in argento. L’obiettivo? Creare una valuta panafricana basata sul dinaro aureo libico, per offrire un’alternativa al franco CFA. Traduzione: mandare in tilt il sistema neocoloniale francese e ridare autonomia agli Stati africani.
Una bomba economica, altro che nucleare. Che infatti ha fatto scattare l’isteria a Parigi. Sarkozy, secondo le fonti dell’intelligence citate nell’email, voleva impedire che la Libia diventasse il motore di un’Africa libera, mentre lui continuava a trattarla come il retrobottega dell’Impero.
E noi? Noi, che c’entravamo?
L’Italia c’era, eccome. Siamo stati il grilletto del delitto. Il trampolino da cui sono partiti i raid NATO. Il paese che, fino a pochi mesi prima, stringeva patti, contratti, baci e tende con il Colonnello – salvo poi voltargli le spalle come il peggiore dei traditori.
Fu Napolitano a dare il via libera. Fu Frattini a benedire. Fu Berlusconi, con la coda tra le gambe, a mormorare: “Io non volevo, ma Napolitano ha deciso”. E chi può dimenticare Giorgio il Demiurgo, che, col suo aplomb da notaio imperiale, spiegò che intervenire era “doveroso sul piano umanitario”. Certo, come no. Se per “umanitario” si intende garantire i profitti dell’ENI, rientrare nei giochi della NATO e non dispiacere troppo all’amministrazione Obama.
Già, gli USA. La Clinton gestiva il dossier come una carriera personale. Il Pentagono eseguiva. Obama approvava. Lo stesso Obama che, anni dopo, definirà l’intervento in Libia come “il suo più grande errore”. Troppo tardi, caro Barack. La Libia nel frattempo è diventata uno Stato fallito. I migranti partono da lì, le armi pure, e al posto di Gheddafi ora ci sono sette, clan e milizie armate. Un capolavoro geopolitico.
Il solito copione hollywoodiano
E i parallelismi? Facili. Saddam Hussein, 2003: “Ha le armi di distruzione di massa”. Non c’erano. Lo si impicca. L’Iraq sprofonda. I jihadisti proliferano.
Bashar al-Assad, 2011: “È un tiranno, dobbiamo abbatterlo”. Ancora lì, dopo milioni di morti e una guerra sporca fatta anche grazie ai “ribelli moderati” armati e finanziati dall’Occidente (leggi: Al-Qaeda in franchising).
Gheddafi: “Stermina il suo popolo, dobbiamo salvarli”. Ma le vere vittime sono arrivate dopo l’intervento.
Ecco cosa ci insegna la storia recente:
Quando l’Occidente vuole “esportare la democrazia”, conta i barili, le banche e le basi militari. Quando piange per i diritti umani, piange con l’occhio secco. E quando annuncia la guerra per “liberare i popoli”, spesso è perché quei popoli stanno cominciando a liberarsi davvero, ma dall’Occidente.
Gheddafi aveva mille colpe. Ma non fu ucciso per quelle. Fu giustiziato per una colpa ben più grave agli occhi dei padroni del mondo: tentare di uscire dal giogo del dollaro, del franco coloniale e del petrolio quotato a Wall Street.
E l’Italia, da potenziale mediatore tra Africa e Europa, è diventata il maggiordomo dell’impero, la portaerei dell’altrui guerra, e l’unico a rimetterci più di quanto guadagni.
Complimenti a tutti. E buon “intervento umanitario” a chi verrà dopo.