di Massimo Reina
Mentre Bruxelles sprofonda in una crisi d’identità che nemmeno Freud saprebbe diagnosticare, a Milano oggi si è alzata una voce fuori dal coro del gregge atlantista: la manifestazione promossa da Marco Rizzo e Francesco Toscano, aperta “a tutti gli italiani” – quelli veri, indipendentemente dalle proprie idee politiche, non i passivi consumatori di propaganda – e chiusa, finalmente, alle bandiere di partito. Perché quando si lotta contro il Leviatano tecnocratico che ha sostituito il concetto stesso di sovranità con quello di sottomissione, non servono simboli, ma coscienza.
La piazza di Milano è fuori dal gregge
Già, l’Europa. Non quella dei popoli, delle culture, dei diritti sociali. Quella se l’è mangiata il mercato unico, poi l’ha digerita la Troika, e infine l’ha espulsa sotto forma di MES, Green Deal a geometria variabile, sanzioni che si ritorcono contro i sanzionatori e una NATO che si è trasferita armi e bagagli nel Parlamento europeo. Quella che oggi si vorrebbe celebrare come faro di civiltà, mentre con una mano firma direttive sulla “resilienza democratica” (qualunque cosa significhi), e con l’altra finanzia guerre per procura in Ucraina e a Gaza, vende armi ai peggiori regimi e inizia a muovere i primi passi di un esercito europeo che, c’è da scommetterci, non servirà a difendere gli Stati membri, ma a disciplinarli.
La piazza milanese – silenziata dai media come si fa con i fastidi – non parlava la lingua di Ursula von der Leyen, quella fatta di inglesismi vaghi e proclami sulla "sostenibilità della sicurezza" (tradotto: tagli alla scuola per comprare i missili). Parlava italiano. Un italiano arrabbiato, lucido, stanco di farsi prendere per il culo da commissari non eletti, da presidenti del Consiglio nominati dal Quirinale su indicazione di Goldman Sachs, da piani di “integrazione europea” che significano solo: meno lavoro, meno diritti, più obbedienza.
foto dal profilo facebook di Marco Rizzo
Il colpo di Stato lento dei burocrati di Bruxelles
Rizzo e Toscano – piaccia o non piaccia il loro passato politico – hanno detto quello che in Parlamento nessuno ha il coraggio di dire: che l’Unione Europea, così com’è, è un colpo di Stato lento. Senza carri armati, ma con i parametri di Maastricht. Senza plotoni d’esecuzione, ma con i memorandum della BCE. Senza dichiarazioni di guerra, ma con sanzioni, ricatti finanziari, riforme imposte con il sorriso di Mario Draghi.
E fa ridere (o piangere) vedere certi benpensanti scandalizzati dalla protesta “sovranista”. Come se chiedere che il proprio Paese possa decidere da sé chi governare, quanti ospedali avere, quali trattati firmare, fosse reato di lesa maestà contro il Sacro Impero di Bruxelles. Come se la democrazia fosse una concessione e non un diritto.
Senza bandiere Milano riscopre il dissenso
Perciò la piazza di oggi, ignorata dai TG e dai giornaloni della NatoPress, è un sintomo. Di malessere. Di fame di verità. Di bisogno disperato di riscatto. Di coraggio di guardare in faccia il Re e dire che è nudo. Che Bruxelles è diventata Versailles.
E che se non si alza ora la voce, il prossimo voto lo faranno direttamente i fondi d’investimento, e il nostro diritto alla sovranità verrà derubricato a “opinione non conforme”. D’altronde, in una UE che banna contanti, silenzia il dissenso, fabbrica emergenze e poi ti vende la soluzione a colpi di green bond e carri armati, protestare non è solo legittimo. È doveroso.
E se vi scandalizza chi dice queste cose in piazza, tranquilli: molto presto non ci sarà più nemmeno la piazza. Solo un algoritmo che decide se siete buoni cittadini o "agenti del caos".
foto dal profilo facebook di Marco Rizzo
E quando la storia si rimetterà in moto – perché succede sempre, anche nei periodi più bui – forse si ricorderà di quei cittadini senza partito che, in un pomeriggio di primavera, dissero no.
No a questa Europa.
No all’oligarchia.
E sì, una volta tanto, al popolo.